Autore: Orhan Pamuk
Pubblicato da Einaudi - Novembre 2015
Pagine: 574 - Genere: Narrativa Contemporanea
Formato disponibile: Copertina Rigida
Collana: Supercoralli
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Istanbul viene raccontata tramite gli occhi di un umile venditore di boza che, nonostante la numerosa famiglia e un cuore pulsante d’amore, ritrova la propria gioia di vivere nelle strade solitarie della grande metropoli turca.
La stranezza che ho nella testa, presentato come un romanzo d’amore, in realtà si scopre essere un intreccio di storie che percorrono le strade del mondo in punta di piedi. È ciò che accade, in particolare, al protagonista Mevlut, del quale Orhan Pamuk ci farà conoscere ogni singolo istante della sua vita.
Mevlut è un ragazzo come tanti, con un futuro da scoprire. Quello che, però, determinerà la sua vita sarà un malinteso d’amore, che inevitabilmente lo riporterà a percorrere strade che mai avrebbe voluto rivedere. Mevlut è un ragazzo innamorato dell’amore. La sua adolescenza è fatta di scuola e fantasie su di un amore che non è ancora tangibile, è un sentimento che studia da lontano e che brama nelle notti fredde e solitarie. Finché non incontra gli occhi di una donna che lo segnano nel cuore. Scriverà lettere d’amore per quegli occhi profondi come la notte, lettere che impiegheranno anni per essere completate. E sarà in seguito a queste lettere che Mevlut troverà finalmente il coraggio di sopprimere la ragione e agire d’istinto, rapendo la donna amata. Ma, per colpa di un destino infame e una famiglia contorta, Mevlut ben presto si renderà conto di aver rapito la donna sbagliata. Un segreto che però non condividerà con nessuno, che terrà ben custodito per non ferire i sentimenti di quella donna che diventerà moglie e madre dei suoi figli e, a lungo andare, l’unica che abbia mai amato davvero.
Premio Nobel per la letteratura, lo scrittore Orhan Pamuk, pubblica La stranezza che ho nella testa, un nuovo romanzo le cui pagine sono intrise di diversi punti di vista, trasformandolo in un racconto polifonico. Mevlut è il motivo per cui il romanzo nasce, ma non ci sarebbe alcuna trama senza i personaggi che ruotano attorno al protagonista e che vengono prontamente inseriti nella narrazione a tempo debito.
La stranezza che ho nella testa può essere inteso come un omaggio nei confronti di Istanbul, che non si limita ad essere sfondo passivo della vicenda, ma vera e propria amica, quasi una confidente per Mevlut. Ciò che a lungo andare può far calare l’attenzione, per chi come la sottoscritta non è abituato, è l’eccesso di dettagli.
Pamuk è stato abile nel dividere per argomentazioni e fasce temporali, inserire determinati personaggi in determinati frangenti, legare le vicende d’amore con le vicende politiche, ma ha giocato soprattutto sulla funzione polifonica del testo, ha posto ogni personaggio in prima linea in modo che potessero esternare i propri pensieri e sentimenti. Purtroppo, in situazioni così delicate, questa tecnica può risultare tremendamente straordinaria o rischiosamente confusionaria.
La stranezza che ho nella testa è la storia di una vita, di più vite. È assistere al cambiamento di ogni personaggio, entrare nelle loro vite quasi in punta di piedi, osservare le loro vicende da fuori la finestra, senza mai poter dire la tua eppure assistendoli passo dopo passo.
Approfondimento
Un dettaglio fondamentale del racconto è l’importanza che Pamuk pone nei confronti della città di sfondo: Istanbul, una metropoli descritta nei suoi alti e bassi, popolata da una moltitudine di persone differenti, animata da quel venditore di boza che non teme la fame o la stanchezza, perché vendere boza è tutto ciò che ha al mondo, è tutto ciò che gli ricorda la normalità.
Istanbul è un tassello importante della vicenda, perché i protagonisti non fanno che ritornarvi, anche quando provano il desiderio di andar via. E questo continuo ritorno in città è un continuo rinsavire, un ricordare quale sia il proprio posto nel mondo. Mevlut, in particolare, instaura un legame profondo con la città che ha vissuto in ogni singola stradina buia, nelle notti calde e fredde, da solo o in compagnia. Istanbul è l’unico motivo che gli procura gioia, dopo tante sofferenze, e l’abilità dell’autore sta nel rendere questa metropoli, così vasta e piena di persone, l’unica vera amica del protagonista.
Ciò che voleva dire alla città, che voleva scrivere sui muri, gli era appena venuto in mente. Proveniva da dentro di lui, ed era tutto intorno a lui, era un’intenzione sia del cuore che delle labbra: «Ho amato Rayiha più di ogni altra cosa a questo mondo», disse Mevlut tra sé e sé.
Per tutto l’arco narrativo si ha la sensazione di tenere questi personaggi stretti in una mano e, giunti al punto conclusivo, li si vede scivolare verso una strada senza fine; e tutto ciò che rimane è una sensazione agrodolce sulla lingua, ma soprattutto un piccolo vuoto in quella mano che aveva retto tutti i loro cuori.
Cristina Migliaccio