Spesso sentiamo parlare di poeti maledetti, senza comprendere fino in fondo che la grande rivoluzione che essi portarono, nel modo di concepire le lettere, rappresenta in realtà un fenomeno di costume. Una sorta di “marchio di fabbrica” che ha caratterizzato un determinato tipo di poesia e soprattutto di archetipo artistico. La definizione poeti maledetti si deve ad un’antologia curata da Paul Verlaine (1844- 1896) intitolata “Les poètes maudits” e pubblicata nel 1884. L’opera conteneva testi di Stéphane Mallarmé (1842- 1898), Arthur Rimbaud (1854- 1891) e Tristan Corbière (1845- 1875), oltre che naturalmente dello stesso Verlaine.
Nonostante Verlaine negasse qualunque influenza di una vera e propria scuola di pensiero, è palese che in questa cerchia si irradiasse un principio di poesia moderna. La “maledizione” vera e propria, consisteva in quel sentimento di marginalità a cui il poeta si sentiva costretto, in contrapposizione ad una società che agiva in massa, e di cui egli aveva una grande consapevolezza. Si può dire fosse un’esperienza addirittura desiderata. La cosiddetta “perdita del ruolo”, diventerà un fattore di ribellione, una sorta di “riscatto estetico”. La sregolatezza dell’individuo poteva essere “spontanea” come nel caso dello stesso Verlaine, oppure estremamente lucida e malinconica come era già stato per Charles Baudelaire (1821- 1867). Attraverso l’utilizzo di droghe e alcol, i poeti maledetti erano inclini a mettere in gioco la loro stessa vita alla ricerca di sensazioni intense, e di una conoscenza derivante ad ogni costo da esperienze sensibili.
Per esempio Rimbaud, che morì a soli 37 anni, fu proprio l’incarnazione di questo esemplare di artista. Dal punto di vista biografico egli condusse una vita irrequieta e sregolata. La poesia viene caricata quindi di un potere “magico”, alla ricerca di una musicalità interna, dove non si ama più il colore, bensì le singole sfumature. Si cerca insomma un mondo puramente sensuale, non più mediato dalla ragione, che si abbandoni alle sensazioni, soprattutto del corpo. Il recupero quasi di una “bestialità” primordiale, esente da regole. Un ritorno alle origini, ma in modo molto più raffinato. Una fusione tra “sogno e precisione”. Il poeta maledetto diventa un esempio negativo per la società, che pur l’attrae per la libertà del suo pensiero e la musicalità dei versi, quasi vigesse un connubio indissolubile fra il “bello” e tutto ciò che è proibito.
Verlaine ha influenzato diversi poeti, fino ad arrivare al nostro D’Annunzio (1863- 1938) che molto deve al suo sensualismo. Anche più vasta sarà la suggestione di Rimbaud, per la radicalità con cui il poeta andrà a disgregare le tradizionali modalità della narrazione, fino ad essere preso a modello anche dai movimenti d’avanguardia. Il “Manifesto del Simbolismo” del 1886, pubblicato sul “Figarò” da Jean Moréas, dà origine ufficialmente ad una poetica che eredita alcuni degli assunti fondamentali che si erano andati precisando negli anni precedenti. Un anelito alla soggettività e all’interiorità.
Tale sentimento dominerà il periodo fra i due secoli ed influenzerà la poesia del Novecento. Una figura quella del poeta maledetto passata alla storia e diventata mito, nata da un gruppo di artisti che ha profanato ogni convenzione sociale.