A partire dalla prima metà dell’800, nel pieno della produzione leopardiana, il sublime si afferma in Italia. Il trattatello pseudo-longiniano è largamente diffuso, la discussione sensistica inglese di Burke si conosce grazie alle traduzioni e alla più ampia conoscenza della lingua inglese, il tedesco kantiano non è per tutti un ostacolo. Leopardi, il più grande poeta –filosofo di tutti i tempi, non può rimanere estraneo alla discussione e vive la categoria estetica del “sublime” non solo poeticamente, ma anche da un punto di vista retorico e filosofico, conoscendo lo stesso trattato di Ignazio Martignoni “Del Bello e del Sublime”verso il 1817 e tutta la trattazione inglese e sensistica sul sublime. Da questa è probabile che abbia desunto le tematiche relative al binomio oppositivo finito –indefinito, benché sia noto che egli conoscesse lo pseudo-Longino, da cui deriva la componente eroica della sua poesia, che è alla base del suo dissenso rispetto alla temperie contemporanea. Già W. Binni, negli anni ’60 (1) fa dell’eroismo il nucleo fondante del suo poetare, ma è nelle Canzoni che esso trova la sua espressione più alta. In sostanza leopardi lega il “sublime” alla poesia parenetica e nazionale, ricollegandosi al critico antico e a tutta la tradizione greca.
La poetica di Leopardi
Accanto al sublime eroico-nazionalistico assistiamo a un’altra tipologia di questa categoria estetica più composita, in cui il punto di partenza è ancora quell’”antico” che aveva ispirato l’eroicità delle Canzoni e che, nella sua irrecuperabilità storica, spinge l’”immaginazione” all’infinito. Mentre il “secolo superbo e sciocco” se ne vantando la sua visione antropocentrica e positivistica, il Poeta sottolinea l’inconciliabilità tra “antico” e “moderno”, tra poesia di “immaginazione” e poesia di “sentimento”ed esprime tutto il suo sconforto per l’irrecuperabilità della purezza antica, quando gli uomini sapevano infinitamente immaginare, mentre ora sanno limitatamente pensare. La poesia antica-immaginativa è definitivamente perduta e la moderna, ammesso che sia ancora poesia, divorzia dalla natura ed è “sentimentale, filosofica. Gli antichi erano Natura -aveva già affermato Schiller- i moderni cercano la Natura nel concetto; la poesia stessa non è più organo della natura ma appendice del pensiero (2).
Dal riconoscimento di questo mutamento storico deriva il suo pessimismo e la teoria del “piacere”, che rompe con gli imperanti schemi romantici e getta il poeta nello sconforto a teleologico e ateo. La scelta di una poesia di “sentimento” è obbligata e sofferta perché all’uomo moderno non è data la possibilità di infinitamente immaginare. Se questo avviene, come nell’idillio “L’Infinito” è un’operazione illusoria breve, perché la ragione insorge al momento del peccato originale, che non è offuscamento dell’intelletto, come sostiene l’esegesi teologica, ma anzi la nascita stessa dell’Aufklarung (3.) La ragione media il rapporto uomo-natura ed esalta la forza della mente, fonda la nuova “fatiscente”poesia e allontana definitivamente dall’antico, momento di esaltazione del corpo (4). Essa, dominio dell’interiorità, s’insedia al posto dell’esteriorità, dell’immaginazione e afferma i procedimenti della mente filosofica.
Ma la vera sapienza è quella antica, non la moderna, “ sapientissimi furono gli antichi prima della nascita della sapienza e del raziocinio sulle cose: sapientissimo è il ragazzo e il selvaggio di California che non conosce il pensare” (5).L’uomo moderno è consapevole di quanto ha perduto e cerca l’antichità sprofondata; ”dentro la crisalide della ragione, si muove agitato il desiderio, che non vuole conoscere infinitamente, ma infinitamente sentire” (6). Nell’uscire da se stesso, dalla sua prigione razionale, l’uomo leopardiano sprofonda nei misteri dell’Universo e kantianamente percepisce il conflitto tra l’esaltazione della ragione e la depressione dei sensi: ”Quante grandi illusioni percepite in un momento di entusiasmo, o di disperazione o insomma di esaltazione sono, in effetti, le più sublimi verità, o precursori di queste, e rivelano all’uomo come per un lampo improvviso i misteri più nascosti, gli abissi più cupi della Natura.
I rapporti più lontani e segreti, le cagioni più inaspettate e remote, le astrazioni più sublimi, dietro alle quali il filosofo esatto, paziente e geometrico, si affatica indarno tutta la vita a forza di analisi e di sintesi. Chi non sa quali altissime verità sia capaci di scoprire e di manifestare il vero poeta lirico, vale ad adire l’uomo infiammato dal più pazzo fuoco, l’uomo la cui anima è in totale disordine, l’uomo posto in uno stato di vigore febbrile e straordinario e quasi di ubriachezza (7). Sicché si può affermare, senza ombra di dubbio, che il vero filosofo è il vero poeta. Due sono allora le condizioni che sottostanno all’aspirazione leopardiana verso la sublimità come infinito-indefinito: una s’individua nel rapporto complesso e lacerante con l’antico e quindi nel ricreare la dimensione del sentimento, scavalcando gli ostacoli della ragione, l’altra nel desiderio del piacere, aspirante all’infinito (8). La percezione della sublimità è insita nella struttura mentale leopardiana, che si può descrivere come una serie di opposizioni binarie che si articolano nelle seguenti combinazioni: piacere-noia, finito-infinito, ragione-natura, immaginazione-sentimento, natura-civiltà, realtà-illusione. La sublimità è, infatti, un sentimento “misto”di cui si parla prima in Burke e poi in Kant, che deriva dal contrasto sensi/ragione e, in generale, da un lacerante rapporto tra l’uomo e l’Universo (9).
Non a caso in Leopardi il desiderio, che poi non è altro che desiderio d’infinito, si basa sulla sua esperienza originaria dell’essere, percepito per l’appunto, non come unità, ma come separazione, e, in definitiva, sull’opposizione invalicabile tra l’io e il mondo o, più precisamente, tra il soggetto e l’oggetto del desiderio. Se c’è separazione tra l’uomo e l’Universo, tra l’uomo e l’oggetto del suo desiderio, vi è però perfetta sintesi tra l’uomo e il desiderio; anzi, l’uomo è di per sé desiderio, ma in questo l’uomo non si realizza: il carattere infinito del desiderio incontra il suo limite nella concreta finitezza di ogni oggetto possibile. L’uomo è se stesso quando desidera ardentemente, nel momento in cui esce da quella “forza immaginativa” che gli permette di “figurarsi piaceri che non esistono e figurarseli infiniti” per numero, durata, estensione (10) (sublime dinamico e matematico kantiano) esce immediatamente da se medesimo e vive la noia, “la quale non è altro che mancanza di piacere che è l’elemento della nostra esistenza, e di cosa che ci distragga dal desiderarlo” (11). In questo contesto si colloca l’idillio “L’Infinito”, contrasto finito-infinito, reale-immaginario, come ci suggerisce di pensare lo stesso Poeta in una pagina dello Zibaldone del luglio 1820: ”del rimanente, alle volte l’anima desidera una veduta ristretta e confinata in certi modi, come nelle situazioni romantiche. La cagione è…il desiderio dell’infinito, perché allora in luogo della vista lavora l’immaginazione e il fantastico sottentra al reale. L’anima s’immagina quello che non vede e il fantastico sottentra al reale. L’anima s’immagina quello che non vede, che quell’albero, quella siepe, quella torre gli nasconde, e va errando in uno spazio immaginario, e si figura cose che non potrebbe, se la sua vista si estendesse dappertutto, perché il reale escluderebbe l’immaginario”.
1) W, Binni La poesia eroica in Leopardi, 1960
2) Schiller. Saggi estetici pag. 148
3) Zib. 435
4) Zib,728
5) Zib.2712
6) Zib.ibidem
7) Zib.1856/7
8) Zib.ibidem
9) Kant. Critica della ragion pura
10) Zib.183.
11) Zib.189
Nello Zibaldone si precisa il procedimento di un itinerarium ad infinitum, sia pure nella finzione del pensiero; questo incontra lungo la strada continue opposizioni (questa siepe/ultimo orizzonte), le quali sono l’estrinsecazione si un processo interiore complesso e contraddittorio, come sempre in dissidio è l’immaginazione tesa all’infinito e la razionalità legata al particolare contingente.
Ma sugli aspetti della lirica posso sorvolare perché molto nota, mentre occorre sottolineare che la lacerazione di questo rapporto rintraccia le sue radici nella filosofia materialistica leopardiana, dalla quale discende che tutto è materiale e quindi finito; di conseguenza chi aspira all’infinito evade dalla Storia e si confonde col Nulla: ”Niente …nella natura annunzia l’infinito, l’esistenza di alcuna cosa infinita. L’infinito è un parto della nostra immaginazione, della nostra piccolezza a un tempo e della nostra superbia. Noi abbiamo veduto cose inconcepibilmente maggiori del nostro mondo…Or quelle grandezze…che noi non possiamo concepire, noi le abbiamo credute infinite…Ma l’infinito è un’idea, un sogno, non una realtà; almeno niuna prova abbiamo noi dell’esistenza di esse, neppure per analogia “. 12)Di qui il Nichilismo leopardiano, che ha comunque tratti di eroico dissenso rispetto le illusioni romantiche; il suo materialismo porta alla negazione dell’infinito positivo, materiale, dello spazio, perché ogni cosa è finita e l’infinito è “un parto della nostra immaginazione” (13.) Non solo l’infinito spaziale è nulla, ma anche quello temporale, cui si attinge mediante il ricordo (14.) Qui leopardi sembra rifarsi più che a Kant a Locke, che nella sua considerazione è uno dei filosofi che ha “veramente mutato la faccia della filosofia”.Il sensismo di Locke si combina con il materialismo del “gobbo di Recanati”che prende le distanze dall’idealismo trascendentale di Kant. L’infinito temporale si declina nel rivivere l’antico, ma in realtà l’antico non è eterno, quindi non è infinito ma “ il concepire che fa l’anima uno spazio di secoli, produce una sensazione indefinita, l’idea di un tempo indeterminato, dove l’anima si perde, e, sebben sa che non vi sono confini, non li discerne e non sa quali siano”. (15)
L’infinito è così estetizzazione dell’antico e condizione del sublime leopardiano.Ma anziché produrre l’idealismo kantiano, accresce il suo pessimismo. Anche se l’infinito è il Nulla, ciò non comporta una rinuncia alla vita, ma anzi accresce la protesta leopardiana nei riguardi della Natura, che è responsabile di quest’annullamento dell’uomo; di qui il celebre messaggio de “La ginestra”, in cui s’invitano gli uomini a unirsi in un catena di solidarietà, per guardare con occhi disincantati la forza della Natura, la quale procede per il suo corso dimentica degli uomini, che soffrono su questa terra, oggi più che mai perché hanno perso la facoltà di immaginare. Leopardi progressivo). Il dissidio finito-infinito, se poeticamente produce il “sublime”leopardiano, filosoficamente conduce al Nichilismo, che è il punto di approdo della sua poetica del dissenso rispetto al Positivismo e al Romanticismo tutto, pervaso dall’idealismo kantiano.
12) Zib.1 maggio 1826
13) Sotto questo profilo, infinito leopardiano si distacca da quello dell’idealismo kantiano.
14) Poetica della rimembranza.
15) Zib. 1 agosto 1821