Quando parliamo di Frankenstein, siamo soliti fare riferimento a quel mostro di dimensioni gigantesche, con la valvola sul collo, frutto di un assemblaggio di cadaveri. In realtà Frankenstein non è il nome del mostro, bensì quello dello scienziato che lo ha generato. Queste poche righe bastano per porsi una domanda: chi è il vero bruto della storia? Frankenstein deve le sue origini ad un romanzo appartenente allo stile gotico, che la diciannovenne inglese Mary Shelley scrisse fra il 1816 e il 1817. Da allora sono state date diverse interpretazioni di questa sventurata creatura, a cui è stata attribuita una cattiveria che in origine non ha. Frankenstein è diventato un mostro per la ragione più antica del mondo. Nato buono, è stato tradito dal genere umano, dalla società che da sempre rifugge il “diverso”, dalla cattiveria dell’uomo. Sebbene, a ben guardare, non avrebbe mai dovuto essere creato. Dargli la vita ha significato condannarlo alla solitudine eterna.
E ora veniamo alla trama. Siamo alla fine del Settecento, a Ginevra. Un ragazzo, Victor Frankenstein, per superare la morte della madre stroncata dalla scarlattina, rimane affascinato dalla medicina e inizia a progettare la creazione di un essere perfetto, esente da malattie e debolezze umane. All’Università in Germania egli inizia a studiare i segreti che si celano dietro alla morte, trascorrendo intere notti nei cimiteri per osservare la decomposizione dei cadaveri. Dopo avere trafugato corpi e assemblato la sua creatura, il risultato però non si rivela conforme all’idea iniziale. In realtà scaturisce un essere con una forza sovrumana che si rivela ingestibile, e dall’aspetto raccapricciante. Nel tentativo di superare le limitazioni umane, il dottor Frankenstein si è sostituito a Dio, infondendo la vita alla materia inanimata. La creatura, originariamente ingenua, è costretta a nascondersi nei boschi perché rifiutata dalla società. La sua maggior condanna è l’intelligenza, che lo rende consapevole della sua condizione. Impara anche a leggere e scrivere da autodidatta.
Egli è sempre solo e per sconfiggere questa emarginazione che lo lacera dentro, torna dal suo creatore per chiedergli una compagna. Quel “padre” che lo ha creato e che lo dovrebbe “accogliere”, in un primo momento lo illude ed inizia la costruzione di un essere di sesso femminile; ma poi, rendendosi conto dell’orrore, la distrugge. Lo scienziato rifiuta quindi la richiesta, comprendendo di avere fatto a suo tempo un grave errore. Ed è allora che il mostro inizia ad uccidere. Egli vuole privare il dottor Frankenstein, che ritiene responsabile della sua vita sventurata, dei suoi affetti. Direttamente o indirettamente la creatura uccide William, fratello minore di Victor, simbolo di purezza; il padre di Victor che rappresenta la famiglia; Elizabeth, moglie di Victor, simbolo dell’amore. Il mostro vuole che lo scienziato provi la sua stessa solitudine, a cui lo ha condannato donandogli la vita.
Le vicende che si susseguono gettano le basi per un “duello” finale, in cui si incontrano il mostro e il suo creatore. E fra i ghiacci dell’Artico, dove lo scienziato aveva tentato di fuggire, avverrà lo scontro finale dove entrambi troveranno la morte. Con questa storia spettrale e coinvolgente, Mary Shelley ha rivoluzionato la morale dell’Ottocento ed è riuscita a dar vita a un romanzo che pone il desiderio dell’uomo alla pari con la possibilità dell’essere divino attraverso la creazione. L’uomo diventa vittima della sua stessa ambizione, e la compassione diventa possibile, nei confronti di questo essere sventurato. Non importa quante trasposizioni cinematografiche siano state fatte e le modificazioni che il soggetto ha subito. Abbiamo sempre sbagliato tutto, questa è la verità. Il mostro era altro.