
Autore: Michel Houellebecq
Pubblicato da La nave di Teseo - Gennaio 2022
Pagine: 752 - Formato disponibile: Brossura, eBook
Collana: Oceani
ISBN: 9788834609415
ASIN: B09NYJWSGC

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“Non sarebbe male smontare un pochino le loro proposte economiche. Te la senti di farlo mercoledì su LCI?”
“Sarà un po’ difficile,” risposte Bruno in tono sommesso.
“E perché, scusa?”
“Perché sono identiche alle nostre”Una vigilia elettorale come tante.
Una famiglia di famiglie monadiche, frastornate, avviate al collasso.
Una catena schizofrenica di rivendicazioni apparentemente prive di movente, confezionate dall’amplesso perverso tra occhio digitale e intelligenza artificiale.
Su tutto, l’agonia attualissima dell’Occidente, soffocato nelle spire di una comunicazione confusa, inattendibile, corrotta, autoreferenziale, in un crepuscolo storico nel quale la verità, nuova merce di scambio, viene prodotta, consumata, riciclata, fino a renderla incapace di lasciare dietro di sé una scia che ne marchi il discrimine e ne giustifichi la sequela.
Un po’ spaccato intimista, un po’ spy story, un po’ saggio di semiotica postmoderna: il nuovo romanzo di Michel Houellebecq si propone come una riflessione militante sulle radici del consenso, su come questo come possa essere creato, estorto, annientato.

Il numero in cima alla pila era del nuovo anno, l’ultimo probabilmente, in copertina spiccava un titolo accattivante: 2027, l’anno di tutte le mutazioni.
Capodanno 2027. Un numero primo: un’ossessione ricorrente, quella dei numeri primi, restii a qualsiasi destrutturazione, come se in essa si celasse il seme di un’annientamento da scongiurare con ogni mezzo.
Bruno Juge, Ministro dell’Economia, tecnico prestato alla politica, uomo forte in seno alla compagine di governo, si accinge a occupare un posto sulla scacchiera delle prossime elezioni. Non sa ancora quale e non gli importa.
Nessuno meglio di lui incarna l’immagine della modernità tecnologica e dello slancio fiducioso che essa desta in molti cuori palpitanti per il progresso ad ogni costo. La posta sul tavolo, però, travalica il recinto elettorale: in gioco è il disegno di un regime presidenziale, in grado di sfrondare le prerogative democratiche in nome della sicurezza nazionale.
Si spalanca un nuovo fronte di scontro, quello della catalisi del consenso: un terreno scivoloso, nel quale le differenze più squillanti sfumano nei mille rivoli di una post-verità prêt-à-porter.
È un uomo fondamentalmente solo, Bruno: una dimensione familiare deludente, in tutto sovrapponibile alla parabola esistenziale di Paul Raison, suo assistente personale, consigliere e confidente.
Nella prima metà di Annientare facciamo la conoscenza di Paul mentre questi assiste impotente ai titoli di coda della relazione con Prudence, donna frustrata e infelice, che affoga la propria insoddisfazione nella fervida partecipazione seriale a sabba neopagani. I due vivono da separati in casa, tutto tra loro è già stato detto.
Si può vivere senza una ragione, anzi, è perfino il caso più comune.
Una famiglia nevrotica, prigioniera dell’egoismo, del capriccio, della superficialità emotiva.
C’è Cecile, sorella di Paul, perennemente in bolletta, impantanata in una relazione stantia con Hervé. Vi è poi Aurelien, il fratello, restauratore di arazzi, personalità fragile, infelicemente sposato con Indy, giornalista di costume e società ed attaccabrighe come pochi, dalla quale cerca consolazione tra le braccia di Maryse, ausiliaria africana. Quando il vecchio Edouard, un passato nei servizi segreti d’Oltralpe, scampa per un soffio ad un ictus, è l’intero assetto familiare ad esserne sconquassato, e nuovi equilibri si impongono.
Col loro prezzo.
Il lettore ne ricava un’impressione di cinismo disturbante, assoluto, che gli rimane incollata ai polpastrelli ad ogni volta di pagina.
La notizia giunse poco dopo le sei del pomeriggio, Paul fu avvisato via e-mail alle diciotto e venticinque dall’addetta stampa del Ministro. Un nuovo messaggio era appena apparso in rete.
L’involuta saga familiare è però un granello di pulviscolo nella nebulosa complessiva degli eventi di Annientare.
Tutto comincia con un attacco informatico di matrice terroristica: la diffusione in rete di un video fake dichiaratamente ostile verso il governo, nel quale viene inscenata la decapitazione del ministro Bruno Juge. Un video che appare e scompare dalla rete.
La fattura della videoprovocazione ne suggerisce l’eccezionalità: l’immane potenza di calcolo necessaria a un algoritmo di computer grafica mai prima d’ora messo in luce, in grado di generare sequenze inquietanti di immagini più vere del vero, lo schema simbolico geometrico, l’impossibilità di decifrarne il codice sorgente, le motivazioni sconosciute, lasciano sgomenti gli uomini della Direzione Generale per la Sicurezza Interna, immediatamente allertata. Si aggiungano poi il rebus dei destinatari, non del tutto chiariti, e quello degli autori, con ogni evidenza esperti negli effetti speciali digitali.
Altre provocazioni non tarderanno, e Paul verrà ben presto fagocitato nel vortice delle indagini.
Nelle quali, a sorpresa, sembra coinvolto proprio l’anziano padre, nella cui casa Paul scopre dei documenti colmi di informazioni su eventi apparentemente sconnessi tra loro, tra i quali l’uomo doveva aver intuito un qualche legame misterioso.
Capace di colpire al cuore la sicurezza dello Stato.
Quando si esercitano funzioni come le sue, non si va mai del tutto in pensione.
Approfondimento
A dispetto del titolo votato all’essenzialità, una scrittura cervellotica, nella quale le azioni sfumano sovente in favore di lunghe teorie di considerazioni, spesse volte declinate in chiave onirica, con esiti talvolta macchinosi e asfittici a giudizio di chi scrive. La sintassi è scarna, nervosa, provocatrice e prevaricatrice, solo in parte controbilanciata dai numerosi flashback, necessari tanto quanto ben confezionati.
Il flusso narrativo si inceppa con ricorsività preoccupante, finendo per spiazzare il lettore, portato al cospetto di lunghe digressioni, coll’inconveniente collaterale di annacquare la storia.
Tanto vale immergersi, in codesti temi forti.
Annientare è un romanzo che si avvita intorno a una spirale nichilista, ma che certamente sa guardare in faccia vizi e limiti della comunicazione postmoderna, soggiogata da virtualità, intelligenza artificiale, machine learning e realtà aumentata, dove una frazione trascurabile di ciò che viene mostrato è reale e dove la decodifica dei significati al cuore dei significanti – tanto verbali quanto iconici – rimane una chimera foriera di autoinganni per la coscienza collettiva.
Una comunicazione intenzionalmente distorta. Che, facendo leva sulla capacità di suscitare riprovazione, edifica a buon mercato la più poderosa delle casse di risonanza, capace di amplificare un messaggio preconfezionato e di estenderlo a macchia d’olio per l’oscuro tornaconto di hacker massimalisti e speculatori finanziari con pochi scrupoli. Giungendo a minacciare l’ordine e la sicurezza mondiali.
Trova posto, in questo sublimato di cinismo, anche lo spettro della denatalità incombente, di fronte alla quale le uniche vie percorribili sembrano essere l’inseminazione artificiale e l’immigrazione. Con quale margine di successo e con quali ripercussioni sull’assetto demografico futuro, impossibile prevederlo.
Curiosamente, l’architrave tematica è racchiusa interamente nel titolo: un verbo vorace, cui però difetta un complemento oggetto nel quale placarsi. Mutilato, esso rimane passibile di molteplici determinazioni, e la sua portata ultima incagliata in un limbo inconsistente di significati possibili.
Ma è una privazione solo apparente: quel complemento oggetto è l’integrità psichica, identitaria, familiare, comunitaria, statale, occidentale. I capisaldi sui quali si plasma ogni società, sono questi ad essere minacciati: in un crescendo dalla fin troppo evidente attualità, nulla è sottratto alla potenza disgregatrice della “società liquida” baumaniana, novello epigono di Crono nel divorare i propri figli.
Un furor destruens che recide ogni sottile filo che le mani degli uomini possano ardire di tessere.
Un “tessere” che esce piegato ma non sconfitto, unico antidoto ermeneutico possibile alla Babele di “tessere” esistenziali alla deriva nell’oceano dell’ottusità autoreferenziale.
Con tutta l’ostinata spinta (ri)creativa che, ancora e ancora, si solleva lenta dalle macerie fumiganti della modernità.
Quello che non poteva sopportare, si era reso conto con inquietudine, era l’impermanenza di per sé, era l’idea che una cosa, qualunque cosa, finisse.