
Autore: Jeff Jackson
Pubblicato da SEM - Ottobre 2020
Pagine: 336 - Genere: Narrativa
Formato disponibile: Brossura, eBook
ISBN: 9788893902472

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Forse i memoriali non significano un cazzo finché non aggiungiamo i nostri corpi alla pira.

Da nord a sud, da est a ovest, gli Stati Uniti sono scossi da un’interminabile e inquietante violenza che si perpetra con il medesimo copione: nel bel mezzo di un concerto, non importa se punk-rock, R&B, heavy metal o chissà cosa diavolo altro, un individuo, sinistro e misterioso, abilmente confuso tra il pubblico, estrae un revolver e inizia a sparare in direzione della band che si sta esibendo, con il preciso obiettivo di causare una strage. Per poi riuscire immancabilmente a dileguarsi tra la folla terrorizzata.
Non fa eccezione Arcadia, cittadina nella quale vivono i protagonisti di Uccidi quei mostri. Trattasi di una città immaginaria, non c’è dubbio, ma sembra di vederla con nitidezza dalle descrizioni di Jeff Jackson: appare come il simbolo di un’America triste di periferia, percorsa da stradoni larghi e a tratti un po’ sconnessi, lungo i quali si erge qua e là, fra cottages decadenti abitati da normali famiglie di operai, qualche fast-food, di quelli che, appena entri, vieni avvolto dall’odore acre e stantio di cibo fritto e di fumo di sigaretta. Poi magari, a fianco, è situato un club o una sala concerti dove fuori fanno la fila stormi di teenagers in attesa di comprarsi il biglietto. Qui, fra ragazze dal pesante trucco dark che calzano anfibi e maschi coi piercing e l’anello al naso, pare di scorgere i protagonisti del libro. I vari Xenie, Shaun, Bruce detto Florian, ecc. i quali, fra problemi quotidiani e amori vissuti con ingenuità giovanile, alla passione per la musica che li fa evadere dalla noiosa e tetra realtà di periferia, uniscono il desiderio di poter un giorno calcare come cantanti o musicisti quel palco che oggi ammirano soltanto da spettatori.
Con i tragici eventi tinti di rosso sangue, essi hanno però un rapporto ambivalente, talora distruttivo: sono terrorizzati ma nello stesso tempo attratti dal fascino cupo ed enigmatico della violenza e della morte.
È infatti come se gli assassini agissero con un intento purificatore, per “sfoltire il gregge”, eliminando tutti coloro che desiderano essere sotto i riflettori ma in realtà sono solo dei mediocri.
Tra omicidi, riapparizioni e sparizioni, commemorazioni funebri, furti di strumenti musicali, pedinamenti di presunti assassini, Uccidi quei mostri prende una china pessimistica decisamente criptica, allegorica, in cui è facile perdere il filo e nella quale sembra intuirsi un’avversione di Jeff Jackson per gli spazi chiusi, come le sale da concerto, claustrofobici e soffocanti, e un’attrazione invece per i luoghi aperti, naturali e incontaminati, come i boschi, perfino i cimiteri. Salvo poi ritrovarsi imprigionati in scenari non meno sinistri…
Approfondimento
Come Uccidi quei mostri che, come un vinile, si può leggere partendo dal lato A (punto di vista dei protagonisti) o dal lato B (punto di vista degli assassini) secondo i propri gusti, così l’America ha due facce. L’una, rassicurante e lusinghiera, dell’American Dream e dei record a Wall Street. L’altra, spietata e violenta, di chi individua un nemico e lo vuole annientare fino in fondo. L’America di JFK assassinato a Dallas nel ‘63 per intenderci. Oppure quella dell’eccidio di Cielo Drive per opera della Manson Family ai danni di Sharon Tate e del figlio che portava in grembo. Per non parlare dei tanti serial killers sui quali il cinema ha trovato fertile ispirazione. E, facendo un doveroso riferimento all’attualità, come non citare quel “I can’t breathe” rantolato da George Floyd all’agente bianco che lo stava soffocando o vicende similari di afroamericani uccisi dalla polizia.
La faccia feroce e deludente dell’America insomma, intuita in maniera così irriverente dagli autori postmodernisti alla Don De Lillo o David Foster Wallace. A loro volta preceduti dai presagi vagamente decadentisti degli oramai “neoclassici” Francis Scott Fitzgerald o Nathaniel West. A tutti costoro, alla fin fine Jeff Jackson tenta di ispirarsi. “Tenta” occorre dire, ahimè. Perché il romanzo, privo tra l’altro, nonostante l’argomento, di qualsiasi canovaccio poliziesco, si rivela talvolta di un’allegoria eccessiva, confusa, difficile da seguire.
Alessandro Taffarello