Una mostra di grande respiro trova oggi giusta collocazione a Palazzo delle Esposizioni a Roma in via Nazionale: “Anni ’70. Arte a Roma”. Il titolo inquadra con linearità analitica la porzione cronologica che si ripromette di indagare, cercando di ricalcare, con rigore scientifico e documentario, un panorama espressivo che tocca complessità, spettacolarità, passione e visionarietà al contempo. La mostra, visitabile fino al 2 marzo 2014, abbaglia per la fecondità e l’ampiezza degli itinerari esplorati: raccoglie infatti quasi 200 opere presentate in un ordine articolato e ardito che travalica la consueta leggenda cronologica e osa un raggruppamento per tematiche e presenze artistiche. Questi i nuclei fondanti della mostra, suggeriti dalla curatrice Daniela Lancioni: la carne, l’immaginario, il doppio, il linguaggio, il fenomeno, la politica. I titoli delle sezioni espositive rappresentano, pertanto, piste di lettura della produzione artistica degli anni Settanta, ben lontane dall’esaurire la fecondità della problematica, data la prolificità delle voci creative attive a Roma nel settimo decennio del XX secolo a cavallo fra innovazione e reiterazione.
Impossibile, pertanto, esaurire la copiosità della ricerca sperimentale di quegli anni, l’ampiezza a tratti opulenta, a tratti, scarnificata dei linguaggi creativi, l’audacia ma anche il pauperismo della Roma del decennio dei Settanta: una stagione di contraddizioni attraversata da protesta, terrorismo e amarezza, parimenti animata da bisogno di condivisione, coraggio e lirismo. Roma, negli anni Settanta, era infatti un crogiolo creativo internazionale, magnetico e magmatico, capace di grande attrattiva per la vivacità sublimata della sua scena artistica e brulicante per la presenza di un corposo numero di artisti: Burri, Kounellis, Mauri, De Chirico; cui si aggiunsero, temporaneamente, Alighiero Boetti, Gino de Dominicis, Luigi Ontani, Vettor Pisani, e a cui, ulteriormente, si unirono, fra gli altri, i critici Argan, Calvesi e Bucarelli.
Gravitavano a Roma Merz, Clemente, Penone e molti sono gli artisti stranieri che la scelsero come dimora: Gilbert&George, Richard Long, Francesca Woodman, Joseph Kosuth, Cy Twombly, Sol LeWitt. Agli artisti si accompagnò, a Roma, l’azione pionieristica delle gallerie d’avanguardia in grado di ospitare dall’Arte Povera al Concettuale, alla Land Art; dal Situazionismo al Minimalismo; dalla Pittura Analitica all’Informale, fino all’arte come militanza politica o impegno sociale. Apre oggi i battenti dell’esposizione un’opera provocatoria di Gino de Dominicis dal titolo Il tempo, lo sbaglio, lo spazio che rappresenta uno scheletro in pattini a rotelle con tanto di cane al guinzaglio.
Intorno all’opera teche, disposte come petali, danno il via al filo di una memoria che non conosce nostalgia, ovvero l’esposizione delle foto che documentano i quattro punti cardinali della dialettica artistica del decennio: le mostre, epocali, Vitalità del negativo nell’arte italiana allestita al Palazzo delle Esposizioni tra il 1970 e il 1971, Fine dell’alchimia che ebbe luogo a L’Attico nel 1970, Contemporanea realizzata al Parcheggio di Villa Borghese, fra 1973 e il1974 e Ghenos Eros Thanatos ne La Salita nel 1975. Tutto questo fa dell’esposizione un evento senza precedenti, destinato a diventare un quadro complesso, imprescindibile per la critica contemporanea: una novella rosa dei venti proiettata ad orientare i futuri naviganti nonché esploratori della storia dell’arte attuale.