
Autore: Domenico Starnone
Pubblicato da Einaudi - Gennaio 2016
Pagine: 134 - Genere: Narrativa Contemporanea
Formato disponibile: Brossura, eBook
Collana: Super ET
ISBN: 9788806228989

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Vanda e Aldo si sono sposati giovani all'inizio degli anni Sessanta, per desiderio di indipendenza, ma poi attorno a loro il mondo è cambiato, e ritrovarsi a trent'anni con una famiglia a carico è diventato un segno di arretratezza più che di autonomia. Perciò adesso lui se ne sta a Roma, innamorato della grazia lieve di una sconosciuta con cui i giorni sono sempre gioiosi, e lei a Napoli con i figli, a misurare l'estensione del silenzio e il crescere dell'estraneità. Che cosa siamo disposti a sacrificare, pur di non sentirci in trappola? E che cosa perdiamo, quando scegliamo di tornare sui nostri passi? Perché niente è più radicale dell'abbandono, ma niente è più tenace di quei lacci invisibili che legano le persone le une alle altre. E a volte basta un gesto minimo per far riaffiorare quello che abbiamo provato a mettere da parte.

Dalla crisi di tanti anni fa abbiamo imparato entrambi che per vivere insieme dobbiamo dirci molto meno di quanto ci taciamo.
Vanda e Aldo si sposano molto giovani, forse per amore forse per convenzione, lei si occupa della casa e dei figli, Sandro e Anna, e lui, padre e marito occasionale, tenta la strada della carriera e del successo. Fino a quando Aldo non conosce la bella, giovanissima e magnetica Lidia, e per lei se ne va di casa e lascia la sua famiglia, con le si sente nuovo, diverso, vitale, si riscopre pieno di energie, di occasioni, di possibilità, e per quattro lunghi anni dimentica moglie e figli, perduto dietro a questo nuovo inizio. Vanda gli scrive lettera rabbiosa, piena di un dolore sordo che non conosce confini ed esplode nella rabbia di parole sferzanti, taglienti come lame, che mostrano ad Aldo tutta la sua pochezza, tutto il suo fallimento come padre e come marito.
Fino a quando qualcosa in Aldo si inceppa, la magia della nuova vita con Lidia perde il suo smalto, e comincia ad affiorare il peso delle responsabilità dimenticate, il rimorso della famiglia spezzata, il rimpianto di vedere i suoi figli come estranei, tanto che decide di tornare a casa e di ricomporre il suo nucleo familiare.
Ma da un dolore così grande, da una frattura così profonda non si torna indietro, e ben lo sanno Aldo e Vanna, che per anni mettono in scena la commedia del matrimonio borghese, ben lo sanno anche Sandro ed Anna, che prima bambini, poi adolescenti e adulti, verranno travolti dalle conseguenze di una famiglia senza amore, dagli gli ingranaggi perversi che li distruggeranno, dai silenzi costanti, dalle minacce, dai ripensamenti, dai dinieghi, dall’ipocrisia; e sono proprio loro a pagare il prezzo più alto di tanta anaffettività, rimanendo invischiati per sempre nei lacci della discordia, nelle maglie di una ragnatela tessuta di odio e rancore.
Sì, perché a legare Aldo e Vanna non è l’amore, ma la rabbia, il rimorso, l’odio, il rancore, l’ostinarsi a non perdonarsi; e tutto questo dolore che per anni si è accumulato sulla loro famiglia, come polvere su mobili vecchi, finirà per rompere gli argini e travolgere inconsapevolmente le vite di tutti. Se è vero che non è facile mantenere una coppia, ancora più difficile è lasciarsi; perché ciò comporta una dose di coraggio che va oltre l’affetto, oltre le convenzioni, oltre a ciò che riteniamo più giusto ed opportuno; e diventa dolorosa consapevolezza che quel bene che sentivamo così forte si è affievolito, o non esiste più e allora ci vuole ancora più coraggio ad accettare che le nostre scelte arrecheranno dolore e delusione, che ci porteranno a tradire chi fino ad allora abbiamo amato, ci renderanno ignobili e disprezzabili agli occhi di chi ha riposto in noi ogni fiducia.
Ma nulla è più doloroso, più umanamente inaccettabile di una famiglia senza amore, di una vita di giudizi, di sospetti, della consapevolezza di non sentirsi amati e protetti, di recitare una parte per tutta la vita, di non essere all’altezza, del sentirsi soffocati da una rete di convenzioni, di ingranaggi, di lacci invisibili che ingabbiano la nostra esistenza.
Lacci è il racconto di una vita ingabbiata, frantumata, lacerata dalle costrizioni, rigata dai rimpianti di non aver voluto o potuto scegliere una strada diversa; è la fotografia lucida e amara di tanti matrimoni dove dietro la patina borghese di una apparente felicità si celano calanchi di tristezza, di rancori, di incomprensioni che ci plasmano, ci cambiano e ci ingabbiano nella geometria solida di strade battute, sempre uguali, rassicuranti e dolorose. E tra le pagine del romanzo, dove si intrecciano vite, sentimenti e passioni, si sente sempre il rumore sordo di qualcosa che si spezza per sempre, il suono inconfondibile che fa il dolore quando frantuma i cuori.
Approfondimento
Domenico Starnone, come un abile chirurgo, scava nell’essenza della relazione di coppia, nei meandri dei legami familiari con parole scarne e strazianti e riesce a dare voce a tutti i protagonisti di Lacci, ripercorrendo prima la storia di Vanna ed Aldo, e poi le singole vite dei figli Sandro ed Anna, e a ognuno cuce addosso il suo dolore, e lo fa con parole sempre diverse, con un linguaggio versatile e affabulatore, riuscendo però sempre a dare senso alla sofferenza di ciascuno, intreccia i fili del tempo, rimescola il passato e riporta a galla ricordi sopiti dal tempo, sfalsi i piani temporali e confonde passato e presente, spariglia le carte, nasconde vecchie foto e nuove presenze, perché il dolore non è fermo in un tempo preciso, non appartiene né al passato né al futuro, ma rimane nelle vite, stagna nell’area dei salotti perbene e impregna l’essenza delle persone, plasma lacrime e risate e soprattutto non si dimentica e non si cancella.
Le lettere custodivano la traccia di un dolore così forte che, se liberato, avrebbe potuto attraversare la stanza, dilagare per il soggiorno, irrompere oltre le porte chiuse e tornare ad impadronirsi di Vanda scrollandola, tirandola fuori dal sonno, spingendola a gridare o cantare a squarciagola.