
Autore: Susy Galluzzo
Pubblicato da Fazi - Aprile 2021
Pagine: 240 - Genere: Narrativa
Formato disponibile: Brossura, eBook
Collana: Le strade
ISBN: 9788893258487

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Michela rimane immobile mentre una macchina avanza sulla strada e si dirige verso sua figlia Ilaria. Michela potrebbe urlare per avvisarla, ma non riesce a farlo. Ilaria sarà salvata dal richiamo di Duccio, il cane di famiglia. Ma Ilaria forse si è accorta di quanto è successo, perché da quel giorno il rapporto tra madre e figlia inizierà a cambiare.
“Ne avrei avuto tutto il tempo. Tutto il tempo.
Ma non l’ho fatto.
Mamma, non l’ho fatto.”
E chi è quell’uomo con la maglia rossa che fissa Michela dal marciapiede opposto?

Ormai non avevo più bisogno di far oscillare lo sguardo, Ilaria e la Juke erano vicinissimi, nello stesso fotogramma, ma nessuno dei due si era accorto dell’altro.
Michela non urla, non avvisa la figlia del pericolo, rimane con il suo senso di colpa e di impotenza; lei che ha dedicato gli ultimi anni della sua vita a crescere quella figlia, inscenando un rapporto quasi simbiotico con lei, assecondandone i disturbi ossessivi compulsivi e cercando di risolvere ogni situazione (anche quando questo consiste nel far tre giri intorno all’isolato prima di entrare in casa, perché altrimenti le cose potrebbero andare nel modo sbagliato, o tranquillizzare Ilaria perché il numero di piselli nel piatto non è quello “giusto”), quel giorno rimane immobile.
E lei, che ha scelto di diventare una madre-ombra di sua figlia.
Vivere costantemente nella paura di una catastrofe imminente. Scegliere le parole, una per una, evitando quelle che “portano sfortuna”, conoscere i percorsi da fare, e sempre e solo quelli, per andare a scuola, in palestra, a fare la spesa; ricordare tutto quello che potesse destabilizzarla, anche un pochino, perché una stupidaggine poteva trasformare un giorno buono in uno infernale.
Decide di raccontare quanto accaduto alla madre, in una lunga chiacchierata che ha la durata del romanzo di Susy Galluzzi, e di farlo in un diario, con una scrittura in prima persona che ha come unico interlocutore lei, quella madre morta quindici anni prima; quella madre che lei non è riuscita a salvare; quella madre che non ha fatto in tempo a conoscere Ilaria e nemmeno questa nuova Michela, così lontana dalla cardiochirurga che diceva di non volere figli.
Michela apre quel taccuino comprato appena la madre è morta, ma che fino a quel momento non è mai riuscita a riempire.
Sulla copertina di questo taccuino sono disegnati dei tulipani bianchi, piegati dal vento in un prato verde.
E inizia a raccontare e a raccontarsi.
Sarà una lunga confessione la sua, che intreccerà il passato al presente; recuperandone le svolte della vita (la sua decisione di abbandonare una carriera promettente, la scelta di diventare madre, il rapporto con il marito, anch’esso cardiochirurgo), il suo sentirsi sempre in affanno, inadeguata e, alla fine, esclusa da quella famiglia che ha costruito e alla quale molto ha sacrificato. Ma anche la sua rinascita, il suo riscatto, su una strada diversa e, soprattutto, il suo sentirsi madre in modo sbagliato, i suoi errori.
Sarà una confessione senza mezze misure, crudele e spietata, dove Michela non si risparmierà nulla, costringendo anche noi lettori a detestarla un poco, prima di riuscire, forse, a comprenderla e a capire che gli errori fanno parte del nostro essere umani. E così il personaggio che ne esce è quello di vittima e carnefice: un personaggio complesso e completo e, per questo, reale. Vero.
La scrittura di Susy Galluzzo è incisiva e tagliente come quel bisturi che la sua protagonista ha deciso di abbandonare quindici anni prima. E, attraverso Michela, attraverso quella confessione a un diario che assume la forma di una chiacchierata con la madre davanti a un caffè, ci presenta uno sguardo quasi freddo (ma freddo nel senso di senza fronzoli, senza volerne mitigare la durezza di alcuni dettagli) del racconto di quella che è stata e che è la vita di una donna.
Uno sguardo freddo e preciso come deve essere la mano di un cardiochirurgo in una confessione che è, prima di tutto, un voler guardare in faccia la realtà.
… ho sempre pensato, fin da piccola, man mano che mi rendevo conto del legame che c’era tra noi, che mi nutrivo di te, Mamma, che una volta che tu fossi morta avrei pianto ogni minuto della mia vita, ogni singolo attimo, che nelle mie lacrime avrei annegato il dolore. Non è successo. Quelle lacrime non sono mai arrivate.
Un decidere cosa non si vuole più essere.
Quello che non sai parla di maternità, ma lo fa raccontando anche ciò che della maternità non sempre si dice, ma che in alcuni casi ha un ruolo; ne racconta le paure, la voglia di fuggire a volte, il sentirsi chiusa in una gabbia. Il terrore di sbagliare e di non essere all’altezza e il dover sacrificare molto, anche il rapporto con il partner, pur di essere presente, pur di non fallire nel ruolo di crescere una figlia nel miglior modo possibile.
Racconta una maternità non sempre edulcorata, ma anzi a volte difficile. E pare chiedersi cosa succede quanto tutto questo crolla. Cosa succede quando si sente di non poter più fare nulla per quella figlia, per quella famiglia alla quale molto si ha dato. Quando ci si sente messe da parte.
Approfondimento
Non so se l’intento della Galluzzo fosse questo, ma io ho chiuso le pagine di Quello che non sai pensando che quando la vita ci va stretta, quando abbiamo rinchiuso le nostre giornate in un ruolo che non è il nostro, quando il senso di colpa ci attanaglia la gola. Insomma quando siamo insoddisfatti, insicuri e infelici, forse, diventiamo persone peggiori di quello che siamo realmente. E questa è la sensazione che lascia Ella/Michela: un personaggio che non riesci ad amare completamente, o almeno non sempre, con la quale non ti senti a tuo agio in ogni momento e che, in alcuni passaggi, vorresti prendere a ceffoni.
Ma, alla fine, una volta che hai percorso la sua strada, che le sei stata vicina per la durata della storia che ti sta raccontando, arrivi anche a comprendere e a perdonare.
Perché è proprio questo il percorso che cerca di fare Michela, consapevolmente o no: quello di provare a perdonare sé stessa.
Ho deciso di smettere di farmi del male.