Miliardi di facce lavate al mattino per giornate che saranno come il gioco di unire i puntini per caso. I tavoli ballano sul mondo dei terremoti. Sulle inspiegabili incertezze. Attese, una corsia d’ospedale si svuota, frontali, scarpe sui banchi, ricordi, tempie che pulsano, arrivi, sigarette accese in ogni marciapiede, corse, sì, no, forse sulla faccia. La monetina nel carrello e la casa di fango. Stracci come abiti, stracci per il pavimento. Mani strette, vere, false, come la pelle delle borse che mangiano le carte dei nostri risparmi. Mi guardo allo specchio: ci sarò. Pagherò tutti i costi. Ma ci sarò, ancora cinquant’anni per giornate che saranno come il gioco di “unisci i puntini neri”, le persone e le cose, e scopri il nuovo.
Miliardi andranno, vanno, a spaccare il cuore. Caricano bugie come un’arma e le puntano ogni giorno su qualcuno. Vanno a dire che stanno morendo e hanno bisogno, hanno sempre bisogno, e son sempre qui. Vanno a chiudere tutte le porte, a spezzare gli altri. Dignità labili con strette di spalle, con urla, con una targa dorata sulla porta quando te la chiudono e sul cofano della macchina quando ti vengono addosso. Vanno a prendere, portare, cancellare risposte che servivano a tutti, a tenersi una fetta in più, la festa per sé, pensando di essere cuori. Vanno a dire amore senza provare, sapere, senza aprire il dizionario. Senza sbatterselo in testa per rimettere in sesto i meccanismi inceppati.
In fondo è tutto uno strappo e via. Ma cosa sei diventato?
Diciotto anni sui libri, dietro una gonna nuova ogni bimestre. Poi la testa a posto. E il box auto privato.
Bianco, farfalle di stoffa, anulari vestiti di oro, due passi di liscio, di braccia al cielo al collo, rullini di sorrisoni tirati, baci abbracci scatto strappo e via. Due marmocchi, e una cucina rosso fuoco per la moglie che è fatta apposta per lasciarla lucida. Tacco, borsetta, Chanel, rossetto e braccio per te al centro commerciale.
Ora ti muovi in quel tuo magico rumore che non ti fa sentire altro. In quelle attenzioni che tutti vogliono.
Da qualche altra parte rosso di persone spremute calpestate tirate spezzate all’infinito, la scuola che non insegna e i portelloni che si serrano per non voler sapere, dentro c’è da festeggiare esplosioni o ci sono messe da cantare a coprire bestemmie che si urlano per le strade.
Sei morto peggio per te. Il telegiornale. La bandiera blu con le stellette bianche svolazza in alto davanti a un palazzo di vetro alto come i debiti del nostro Paese.
Avrai i tuoi cinque minuti di gloria e avremo finalmente una tua foto appesa da qualche parte, che chissà perché prima no. Avevi un bel sorriso. Credimi. Anche che è stato per niente. Credimi.
Uno strappo e via.
Basta, non basta
necessario sì e no
necessario che cambia da frontiera a frontiera
da mondo a mondo
il prezzo ha i suoi cinque minuti e ti annulla
bastano due minuti di cattiveria al telegiornale
per capire che hai tutto e non ti resterà nulla
spegnici la tragedia da davanti agli occhi canale digitale del cavolo
del suo strappo e via.
Siamo figli di qualcuno
siamo genitori di qualcuno
siamo di qualcuno
siamo di qualche storia
di qualche angolo
di qualche tempo
che non raccontiamo
che accettiamo con uno strappo e via.
Non t’illudere. Siamo cuori solo se vengono a dirtelo, la tua famiglia, il vicino, o perfetti sconosciuti. Altrimenti siamo solo scenografia. Prendiamo tutto in un attimo e scappiamo sulla nostra barchetta di carta. Lontano…lontano… Uno strappo e via. Ricordatelo. Ma quanto lontano?
Avevi un bel sorriso prima dello strappo e via. Credimi. Anche che è stato per niente. Credimi.