Abbandonatevi, lasciatevi trascinare dalle emozioni durante la mostra “Pasolini Roma” aperta fino al 20 luglio al Palazzo delle Esposizioni nella Capitale. Non lesinate una lacrima, non nascondete un sorriso, non risparmiate struggimento, empatia, perché la cifra principale di questa prodigiosa esposizione è la capacità di coinvolgervi intimamente e di legarvi a Roma. La mostra, curata da Jordi Ballò, Alain Bergala e Gianni Borgna, recentemente scomparso, è lucida e robusta nel suo impatto narrativo articolato con ordine e senza sbavature in sei sezioni didascaliche e visionarie allo stesso tempo: apprenderete di Pasolini ma ne riuscirete anche a leggere il lirismo secco e scevro. Dalla partenza da Casarsa nel 1950 alla morte violenta, il percorso di Pasolini nella Capitale è articolato in sezioni cronologiche ricche di materiali documentari e testimonianze, incluse sperimentazioni figurative, foto, storyboard prodotti con mano sicura dallo stesso poeta. Di questa fuga verso Roma, Pasolini stesso dirà:
“Andavamo verso Roma. […]
Ho vissuto quella pagina di romanzo, l’unica della mia vita:
per il resto – che volete –
sono vissuto dentro una lirica, come ogni ossesso.”
Emerge, al Palazzo delle Esposizioni, con nitore, la cifra complessa e semplice allo stesso tempo, del grande, versatile, intellettuale italiano: “Ciò che conta è anzitutto la sincerità e la necessità di ciò che si deve dire. Non bisogna tradirla in nessun modo…” scriverà lo stesso Pier Paolo che vi accompagnerà qui per le vie di Roma. Roma è per Pasolini, anzitutto, un viatico duro di dimore, dove, accompagnato inizialmente dalla madre Susanna, trova alloggio e ispirazione: carte topografiche ve ne mostreranno l’ubicazione nella geografia della città e in quella della mente creativa dell’autore. La prossimità a Rebibbia, la Fontana della Tartarughe, il Ghetto, il Lungotevere, gli ampi spazi della borgata. Il vuoto dei lunghi viaggi in treno per raggiungere Ciampino: “… ogni mattina affrontavo il lungo viaggio che si concludeva a pomeriggio avanzato, sotto il sole che ormai cominciava a declinare sulle infinite, tremende periferie. Ma pensavo. La mia consolazione era pensare. Pensare era la mia ricchezza e il mio privilegio. Più della metà dei miei versi sono stati pensati, o scritti, in treno”.
Passeggerete con Maria Callas, vedrete Totò, ammirerete Federico Fellini. Conoscerete Roberto Longhi, stringerete la mano a Sandro Penna, scioglierete i capelli a Laura Betti; viaggerete in luoghi esotici con Dacia Maraini e Moravia; accarezzerete Anna Magnani, Mamma Roma; attraverserete l’Italia in compagnia di Ninetto Davoli. Perché nulla diventa più italiano e romano di Pasolini e del dopoguerra da lui stesso generosamente rappresentato: Roma da sempre crogiolo di etnie, diviene rifugio a cielo aperto di sfollati, matrigna generosa e ingrata allo stesso tempo, che accoglie figli bisognosi, privati e svuotati della più essenziale sopravvivenza dalla loro stessa patria. Qui il destino ricomincia, qui la ruota gira, qui la vita finirà con il lasciare un nuovo altro segno che ancora forma non ha. Qui e ora nasceranno i nuovi romani di prima generazione. Di sé stesso Pasolini dirà:
“Adulto? Mai. Mai, come l’esistenza che non matura, resta sempre acerba, di splendido giorno in splendido giorno.
Io non posso che restare fedele alla stupenda monotonia del mistero.
Ecco perché, nella felicità, non mi sono abbandonato, ecco perché nell’ansia della mia colpa non mi ha toccato un rimorso vero.
Pari, sempre pari con l’inespresso, all’origine di quello che sono.”.
Nel 1967, stanco ormai di Roma, provato dall’Italia, vessato dalle accuse di scabrosità degli scritti e dai processi di vilipendio, Pier Paolo Pasolini visitava New York.
Nell’occasione incontrò Allen Ginsberg: “Caro angelico Ginsberg ieri sera ti ho sentito dire tutto quello che ti veniva in mente su New York e San Francisco, coi loro fiori. Io ti ho detto qualcosa dell’Italia (fiori solo dai fiorai)… “. Pasolini, forse, era anche profeta. Una lunga stagione di incertezze, inclusa la sua morte per cause ancora non chiare, era in procinto di arrivare. Pochi giorni vi separano dalla chiusura della mostra. Non rinunciatevi.