
Lui, ancora in coma, era l’unico a ignorare di essere vivo, e che le persone che amava erano morte per mano sua.
Forse è davvero così: dentro ognuno di noi si nasconde L’Avversario e, nel giorno in cui saremo costretti ad incontrarlo, non possiamo prevedere quali saranno le nostre reazioni. Non possiamo sapere se saremo abbastanza forti da resistergli.
E’ una notte del 1993 quando, poco prima dell’alba, Jean Claude Romand, medico ricercatore all’OMS di Ginevra, dopo aver trascorso una tranquilla serata in famiglia, uccide la moglie, i figli e i genitori, e tenta il suicidio dando fuoco alla casa, ma viene tratto in salvo, e sopravvive alla sua folle strage.
In pochi giorni di indagini emerge il vero ritratto dell’assassino: in realtà, Jean Claude non era un medico, e tanto meno un ricercatore dell’OMS: i suoi impegni di lavoro, la carriera, i viaggi, i congressi erano solo una finzione. Ma il dettaglio più terrificante della sua storia, è che tutta la sua vita, da sempre, è stata una finzione, una recita totale, un’invenzione assurda che egli ha portato avanti giorno per giorno, fino a dare di sé l’immagine di un uomo geniale, determinato, saggio e romantico, ammirato e persino invidiato dagli amici. Ma inesistente.
Perché Jean Claude non aveva mai frequentato l’università, non si era mai laureato, non aveva mai lavorato né fatto carriera: semplicemente sopravviveva, da decenni, mantenendo una famiglia e persino un’amante, grazie ad una ininterrotta serie di sotterfugi, di alibi, di menzogne, di inganni piccoli e grandi, di tradimenti. Cresciuto in una famiglia tradizionale e rigorosa, per evitare problemi impara a mentire e ad ingannare fin da giovanissimo, e in qualche modo sull’inganno e sulla finzione riesce a fondare e costruire la propria vita. Apparentemente è uno studente brillante, un professionista di successo, un marito e un padre impeccabile, in realtà vive con i soldi che ha sottratto con l’inganno a parenti e amici, passa le giornate in completa solitudine, passeggiando per i boschi, o chiuso in un albergo, duranti i giorni dei suoi falsi viaggi di lavoro.
Poi, ad un certo punto, non trovando più altre scuse, non potendo più evitare di essere scoperto, tutto il suo mondo crolla, e l’unica via di uscita è la morte. La propria, ovviamente, ma anche quella di chi ha vissuto con lui: non può certo confessare essere giunto fino a quel momento prendendosi diabolicamente gioco del loro affetto e della loro fiducia.
Con una curiosità pesino lievemente morbosa, Emmanuel Carrère inizia ad interessarsi al caso, a seguire il processo da vi
cino, a voler conoscere non solo il protagonista dell’orribile gesto ma, soprattutto, quelle forze ignote che lo hanno portato, nello scorrere degli anni, a recitare una parte sempre più insostenibile, a scendere in un abisso dal quale era impossibile, se non con la distruzione propria e degli altri, risalire. Inizia a chiedersi cosa potesse aver pensato Jean Claude, in tutti quegli anni di vita inventata, in tutte quelle passeggiate solitarie, mentre la sua famiglia attendeva che tornasse a casa.
Un lavoro di ricerca profondo e lacerante, che mette in discussione pensieri e convinzioni dello scrittore, ponendolo di fronte ad un tremendo interrogativo: quanto sia facile cadere in un’ininterrotta catena di errori irreversibili, quanto sia facile cadere preda e vittima dell’Avversario, del male che è latente dentro di noi.