
Pubblicato da Einaudi - Aprile 2019
Pagine: 123 - Genere: Narrativa Italiana
Formato disponibile: Copertina Rigida, eBook
Collana: Supercoralli
ISBN: 9788806230616

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Elisabetta Maiorano è una insegnante nel carcere minorile di Nisida. Lì incontra Almarina, una ragazza che ha subito molti dolori e in lei riconosce una parte di sé, per questo il legame con lei diventa intenso e destinato a durare anche fuori dal carcere.

Non saprò mai dire se è Napoli o se sono io. Se mi grava addosso tutta assieme perché sono stati giorni plumbei, pieni di paura e dubbi, e sospetto. Oppure se è davvero la vista del palazzaccio dall’altra parte del cancello, l’onda gialla che gonfia, le cupole sotto le nubi, architravi troppo pesanti perché una donna sola possa reggerli.
Nisida è in alto, da lassù si vede il mare e il Vesuvio. Sembra di vederlo con gli occhi della professoressa che ogni giorno entra ed esce da quel carcere minorile per insegnare. Un luogo che esiste nei racconti della cronaca, come fosse parte distante dalla realtà mentre è una costante nella vita di ragazzi e di adulti che li seguono all’interno del carcere.
La narratrice è Elisabetta Maiorano, ma il suo nome si scopre quasi alla fine del romanzo, non è importante, lei è una donna che porta con sé un dolore. Si sente in colpa per essere sopravvissuta a suo marito, per non riuscire a vivere nel modo giusto, per non apprezzare i piaceri della vita e vederne solo le brutture, per non avere avuto figli.
Almarina la conosce in carcere, una ragazzina con speranze, lei che ha vissuto dolori ben più grandi, separata dal fratello e costretta a conoscere la parte peggiore degli uomini senza scrupoli. Da subito l’empatia tra loro è immediata e ne scaturisce un rapporto sincero, fatto di sguardi e di ore passate insieme anche solo ad osservare il mare.
La strada per arrivare a Nisida è lunga e in salita, e tenere tutto assieme è faticoso, e fare tutto bene è impossibile. E così nel quotidiano fare, avevo dimenticato sugli scalini della casa antica, lì dove i ricordi restano in nostra assenza, l’amore delle madri: senza merito, senza reciprocità e senza conquista.
Il carcere minorile è parte del romanzo stesso, un luogo evocativo che da una parte protegge i ragazzi dal pericolo esterno di continuare le loro vite al margine e dall’altro li priva della libertà e della loro vita adolescenziale. Una frattura che si connette con le interiorità di ognuno di loro e che fa molto male ad Elisabetta, donna forte proprio come le parole che usa nei confronti dei carcerieri e della società, cieca e ipocrita ai bisogni di giovani vite.
Elisabetta cerca in tutti i modi di fare il suo lavoro, ma non solo quello. Vede in ogni ragazzo una parte di se stessa. Vede i sogni e le speranze che si spezzano. Ripensa se stessa da giovane con suo marito e quei desideri che non hanno mai visto la luce.
Almarina si fida di lei, non ha mai avuto una madre e l’unica cosa che chiede è rivedere suo fratello. Lei non ha mai avuto una famiglia, Elisabetta nemmeno, entrambe potrebbero crescere insieme.
Non vengono descritte con molte parole le intenzioni della professoressa, è chiaro quello che pensa fin da subito della ragazza. Lei può essere una persona diversa e quella ragazza può diventare una donna, consapevole dei propri errori e capace di guardare al futuro. Questa è una storia d’amore, perché l’amore non nutre nessun interesse reciproco se non quello di migliorare l’altro. Ecco che il dolore di entrambe diventa uno solo e le ingiustizie possono essere condivise. Il libro non finisce con loro due che vivono felici insieme, Elisabetta entra in una aula di tribunale dove si deciderà il loro destino, sembra che lei si rivolga a noi con le sue parole per giudicare se sia giusto o meno che diventino una famiglia. Il finale sospeso esprime quindi anche il nostro desiderio ed il lettore diventa consapevole dell’intera vicenda e riesce a darsi ulteriori risposte anche sulla società in cui vive.
Approfondimento
La storia non è solo quella di due donne. Sicuramente Almarina è una eroina femminile del nostro tempo, una ragazza che ha dovuto lottare col destino e vivere in un mondo difficile abbassandosi anche a cose illegali e poco oneste, non solo per la legge, ma soprattutto per la sua dignità. Eppure non ha perso il suo entusiasmo da adolescente, ricca di curiosità e di voglia di vivere. Questo colpisce subito l’insegnante, ma anche il lettore. La storia è anche un riferimento sociale molto forte al problema del carcere e di quello minorile, all’inserimento dei ragazzi nella società civile, ad un mondo che si fa fatica a vedere.
La narrazione è in prima persona, Elisabetta racconta la vicenda. Il tono delle parole è secco, asciutto, la sua opinione è decisa su ogni cosa. Il lessico è sapientemente dosato tra il napoletano e le forme più alte di italiano. Non si cercano lirismi o figure retoriche, tutto è molto terreno e reale.
Lo stato d’animo della protagonista è un unicum con la sintassi, il lessico, le espressioni utilizzate e questo fa centro molto più del pietismo usato da molti autori che utilizzano la terza persona e descrivono nei dettagli ogni cosa accaduta. In questo libro non è descritta per filo e per segno la vita di queste donne, bastano pochi tratti per capirla. Basta la prima pagina per entrare nella tensione narrativa e nel respiro corto della protagonista mentre guarda la sbarra all’entrata e spera che anche questa volta ci sia Almarina ad aspettarla. Una storia intensa che merita una lettura attenta anche alle piccole sfumature di ogni parola.
Gloria Rubino