
Autore: Ugo Sette
Pubblicato da Lupo - 2012
Pagine: 243 - Genere: Narrativa Contemporanea
Formato disponibile: Brossura

📗 Acquista scontato su ibs.it
📙 Amazon (spedizione gratuita)
Il protagonista, Ugo, giovane universitario e inventore di cose assurde, epigono moderno del più noto Mersault, abita il suo mondo quasi per caso. Tutto appare comico, cinico, grottesco, dissacrante in quella sua incapacità di trovare il bandolo della matassa, disseminando la strada di domande ricorrenti sulla morte, la felicità, l'amore, la vita e la condizione di essere umano.

Parto da un presupposto: questo libro non mi è piaciuto e non perché non fosse un buon libro o fosse scritto male, anzi! Il romanzo è scorrevole, si legge presto e non crea intoppi fatta eccezione per un unico, enorme problema: il narratore è odiosissimo. Il che, probabilmente, era esattamente l’intento dell’autore, ma ciò non mi ha reso il libro meno “antipatico”, se così si può dire.
Ugo – il protagonista, non l’autore – è un inventore che trascorre le sue giornate traducendo in manufatti le sue idee e disprezzando le persone che lo circondano. Il disprezzo, infatti, la fa da padrone in ambo i racconti che compongono il libro. A Ugo il mondo non piace e “forse a lui non piaci te”, cantavano i Negrita: la nausea lo assale ogni qualvolta accenda la tivù o vada a fare la spesa o si rechi al cinema con l’inseparabile amico Marzio. Marzio è principalmente il suo “mentore”, colui che gli ha aperto gli occhi sulla realtà degradata che lo circonda eppure, paradossalmente, risulta antipatico la metà del protagonista.
Se il primo racconto è incentrato su Ugo, sui suoi gusti, sul suo disprezzo quotidiano, il secondo – che, cronologicamente, anticipa il primo – racconta il modo in cui ha scoperto di essere uno scrittore, oltre che un inventore. Si narra del corso di scrittura al quale Ugo si iscrive. Ovviamente, non decide di frequentarlo per “imparare” a scrivere, visto e considerato che la scrittura non è un qualcosa che s’impara e lo sapeva già l’Anonimo del Sublime secoli e secoli fa. Ugo si iscrive al corso così, per inerzia, per guardare dritti in faccia i patetici corsisti e, perché no, combinare un incontro con le uniche tre ragazze carine presenti. Inizia a leggere ad alta voce racconti non suoi e, naturalmente, nessuno se ne rende conto dato il livello culturale alquanto basso e tutti, insegnante incluso, iniziano a considerarlo un genio della letteratura. Tutti meno un’anziana dagli occhi belli – unico personaggio veramente positivo del libro – e Ugo sa che lei può capirlo, che gli legge dentro e che può ascoltarlo anche quando non sta parlando.
Attraverso i due racconti, il lettore segue Ugo nella sua vita quotidiana, tra gli esami all’università superati con lode senza aver aperto libro e le varie donne della sua vita (la più simpatica è la strega, principalmente perché il lettore spera che faccia fuori il protagonista, una volta o l’altra). Sullo sfondo – ma raccontata come fosse in primo piano – ritroviamo la cruda realtà contemporanea con le sue crisi, i suoi vuoti, i reality show e, su tutto, la cupola di vetro dell’ipocrisia. La banalità. Il farsi vivere. Tutte cose che condivido, per carità, ma che – ripeto – sono state riportate sulla pagina in modo detestabile. Sebbene Ugo Sette scriva davvero bene e abbia anche dei picchi d’ispirazione che richiamano il Bukowski di Panino al prosciutto, basta qualche riga per ricordare al lettore che Bukowski è morto e che no, proprio non ci troviamo di fronte ad una sua reincarnazione.
Dei due racconti che compongono il libro ho sicuramente preferito il primo, L’alieno, che pur presentando un Ugo antipatico quanto quello del secondo racconto è, se non altro, più scorrevole; il secondo s’ingrippa sulle ripetizioni e su tutti i racconti del corso di scrittura, racconti che – me maligna – a prescindere da tutte le spiegazioni filosofiche che vorremmo darci, servono principalmente per allungare il brodo.
Probabilmente avrei sorvolato sull’antipatia della voce narrante se il libro si fosse dimostrato geniale o quantomeno originale – anche Lucia Mondella era odiosa, eppure… – e invece il romanzo non è né una cosa, né l’altra. Denuncia sociale? Critica della società contemporanea? E’ stato già fatto, e infinitamente meglio.
Bianca Cataldi