
Autore: Emmanuel Carrère
Pubblicato da Adelphi - Febbraio 2020
Pagine: 149 - Genere: Narrativa
Formato disponibile: Brossura, eBook
Collana: Fabula
ISBN: 9788845934599

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Il protagonista decide di tagliarsi i baffi. Quando né sua moglie né i suoi amici si rendono conto del cambiamento, non si hanno più certezze, fino a mettere in dubbio la sua stessa vita.

«Che ne diresti se mi tagliassi i baffi?»
Agnes che sfogliava una rivista sul divano , diede una risata leggera, poi rispose: «Sarebbe una buona idea»
Il protagonista si rade in bagno e decide di tagliare i baffi, pensando di fare uno scherzo a sua moglie Agnes e pregustando la sua reazione. Lei invece non ci fa caso e nemmeno i due amici dai quali vanno a cena quella sera. Lui pensa che il fatto che nessuno si accorga dei suoi baffi, sia tutta una messinscena ideata dalla moglie, cosa che nei suoi pensieri sembra essere l’unica soluzione, anche perché già sperimentata in altri contesti in passato.
La questione baffi sembra chiusa, una burla che si sarebbe risolta una volta tornati a casa.
Agnes continua ad ignorare il cambiamento e dietro pressante richiesta, lei le mostra le foto dell’ultimo viaggio: niente baffi, mai avuti. Eppure lui li vede, ne è sicuro. Il lettore da una parte tende a dare ragione al protagonista, forse la moglie lo sta ingannando, ma quasi subito si capisce che qualcosa in lui non va. Infatti continua a cercare la verità sui suoi baffi come se fosse la cosa più importante di tutta la sua vita. Lo psichiatra sembra essere la soluzione, ma improvvisamente lo scenario cambia e dal viaggio che il protagonista intraprende non ci sarà ritorno.
La scrittura è serrata, il ritmo costante, soltanto nella parte centrale in cui il protagonista si trova nel suo studio si perde la compattezza narrativa per lasciare spazio alla fragilità dell’uomo.
Il romanzo è coinvolgente sin dalle prime righe: un uomo e una donna, due persone tranquille all’apparenza che devono andare a cena, però un elemento comune come i baffi interrompe non solo la loro routine, ma sconvolge la loro vita.
L’intuizione rimanda ad esperimenti letterari già collaudati, kafkiani se vogliamo, ma mai portati all’estremo come in quel caso. Non c’è uno stravolgimento della realtà, ma soltanto una percezione diversa e tutta incentrata su un unico particolare. La vita dell’uomo all’apparenza rimane la stessa, continua a fare le cose di prima, ma col tarlo di non sapere se è tutta una menzogna oppure no. Riesce a mettere in dubbio perfino la fedeltà di sua moglie, credendola amante del suo collega.
L’assurdo non si spinge mai oltre una soglia di razionalità e per questo il lettore è sempre sul filo a domandarsi se davvero il protagonista stia diventando pazzo oppure abbia ragione, naturalmente fino ad un certo punto perché poi si capisce benissimo la sua perdita di lucidità. Il concentrarsi su un elemento fa sì che tutto il resto che ruota intorno perda di importanza e anche il lettore si chiede se i baffi c’erano oppure no, se il protagonista ha ragione oppure no. Il dubbio si insinua in ogni azione e in ogni personaggio secondario che incontra e anche se l’epilogo è facilmente intuibile, visto che il protagonista arriva al punto estremo della pazzia, le ultime pagine lasciano col fiato sospeso e sono, sia dal punto di vista descrittivo che dal punto di vista psicologico, quanto più di reale possa esserci in un atto estremo.
Approfondimento
Il lettore non è sorpreso della piega che prende la storia se non nel finale quando c’è un ribaltamento di prospettiva importante in cui Agnes torna in scena e sembra esserci sempre stata, mentre per alcune pagine il protagonista sembrava essere da solo. La narrazione in terza persona aiuta nello straniamento, se fosse stato il protagonista stesso a raccontare di sé avrebbe perso la tensione narrativa, in questo caso rimane tale, anche se il punto di vista non è oggettivo, ma dalla parte del protagonista.
Carrère riesce a passare dalla burla al dramma: il divertissement iniziale legato al taglio dei baffi diventa in poche pagine lo smarrimento del protagonista e infine un dramma. Il lettore riesce a crederci senza troppe descrizioni. La parte centrale più lenta, serve a dare profondità al personaggio, anche se perde l’intensità della trama, mentre il ritmo serrato della prima e dell’ultima parte riescono a catturare il lettore. La parte finale mi ha dato fastidio per la ruvidezza della narrazione, richiama quella usata in Limonov dallo stesso autore ed è in quel momento che il dramma si fa reale.
Gloria Rubino