
Autore: Wlodek Goldkorn
Pubblicato da Feltrinelli - Aprile 2016
Pagine: 202 - Genere: Autobiografico
Formato disponibile: Brossura
Collana: Varia

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Wlodek Goldkorn nasce in una famiglia sfuggita alle persecuzioni naziste. Il piccolo Wlodek non ha vissuto in prima persona l’orrore dei lager, ma sa che in quei luoghi i suoi parenti sono stati decimati. Il libro è il racconto lucido di chi alla Shoah è sopravvissuto, ma sa che il vuoto lasciato dai nazisti mai potrà essere riempito.

Io, invece, sul passato indago; non per rendere giustizia ma, al contrario, per affacciarmi senza speranza su una voragine. Esiste una bella parola ebraica, «Tikkun», significa la riparazione del mondo. Ecco, io penso che dopo la Shoah non è possibile il Tikkun: il mondo rimane e rimarrà senza riparazione.
Nel 1939 i Goldkorn fuggono dalla Polonia in Russia per salvarsi. Dopo anni di povertà e sofferenze, nel 1946 fanno ritorno nel loro paese d’origine per accorgersi che il passato li perseguiterà per sempre. Come si possono ricomporre i pezzi di una vita normale quando prima c’è stata l’Apocalisse? Il bambino Wlodek (autore del libro) vive nel vuoto di un nucleo familiare che di rado concede spazio alla memoria, i suoi genitori difficilmente parlano della Shoah e così non riesce a dare un volto ai fantasmi che popolano le notti della madre e del padre. La sua infanzia non è costellata dalle facce di coloro che hanno perso la vita nei campi di concentramento, lui non ha dimestichezza con quelle immagini, ma conosce alla perfezione i simboli dell’odio: il suo palazzo, requisito dai tedeschi durante la guerra, è pieno di targhette metalliche con svastiche e simboli del Terzo Reich. Con gli amici Wlodek gioca ad “Auschwitz” nel cortile, una specie di guardie e ladri.
Dopo la guerra, la famiglia Goldkorn ritorna nella città polacca di Katowice, ma il paese è ormai popolato dalla moltitudine di fantasmi di chi non c’è più e gli ebrei non sono più così ben accetti. Così vanno a Varsavia, e qui Wlodek sembra trovare una sua dimensione, ma dura poco. E allora lo spostamento a Vienna e l’approdo nella patria degli ebrei: Israele. Ma il giovane Wlodek è irrequieto, i fantasmi sono ovunque.
Israele è una patria costruita in un luogo che prima era abitato da altri, non potendo accettare questa verità il giovane si trasferisce a Francoforte. Ma in Germania non c’è vita normale: è impossibile guardare negli occhi i figli dei carnefici della propria famiglia e far finta che nulla sia accaduto. Così finisce per spostarsi in Italia, e proprio qui inizia a ripercorrere il suo passato con una lucidità realistica e coinvolgente.
Nel suo viaggio a ritroso nel tentativo di capire, Wlodek Goldkorn elegge a sua guida Marek Edelman, uno dei capi della famosa rivolta degli ebrei del ghetto di Varsavia. Edelman aiuta Goldkorn a capire che lui non è una vittima di quello che è successo, ma un ingranaggio della storia, perché le vittime sono solo i morti. Pian piano l’autore si riconcilia con il suo passato, con la Polonia e ci riesce quando smette di vole spiegare.
E così, alla fine, Wlodek ritorna nel suo paese ad affrontare i fantasmi e visitare i luoghi che da sempre popolano i suoi incubi: Auschwitz, Belzec, Sobibor, Treblinka. Quel che resta dei lager viene descritto minuziosamente, è necessario imparare a memoria ogni particolare, al fine di permettere al velo dell’oblio di posarsi e non pensarci più.
Io, invece, odio Auschwitz, vorrei vederla distrutta, rasa al suolo, ridotta al nulla; perché questo è un luogo maledetto che non dovrebbe e non sarebbe mai dovuto esistere e che non può essere in alcun modo riabilitato.
Il bambino nella neve è una narrazione fitta, incalzante che non conosce momenti di pausa o di stanchezza. La lucidità dell’autore nel descrivere l’orrore non viene mai meno e questo permette al lettore di affrontare quello che è stato, la storia priva di qualsiasi fronzolo o risvolto eroico o eccessivo sentimentalismo. Perché la soluzione finale ha avuto le sue cause, ha provocato milioni di morti ed ha gettato la sua lugubre ombra su chi è sopravvissuto. Questo è l’aspetto maggiormente indagato da Goldkorn, la vita di chi è sfuggito al lager: perché se i morti lo sono senza avere colpe, i vivi devono fare i conti con il senso di colpa, quasi la vergogna, di essere sopravvissuti.
Approfondimento
I lettori che hanno amato La notte e Il giorno di Elie Wiesel, così come le opere di Primo Levi, non potranno rimanere indifferenti dinanzi a questo racconto. Il tono de Il bambino nella neve è asciutto, a tratti tagliente ma il messaggio arriva forte e chiaro, non può essere edulcorato. La Shoah è qualcosa di inenarrabile, ma è avvenuta e bisogna fare i conti con questa verità. In un tale scenario, secondo l’autore, non può recare conforto nemmeno la fede perché, dopo quello che è accaduto, pregare non ha alcun significato.
Valeria Rago