
Autore: Wilbur Smith, Mark Chadbourn
Pubblicato da HarperCollins Italia - Ottobre 2021
Pagine: 464 - Genere: Avventura, Romanzo storico
Formato disponibile: Copertina Rigida, eBook
ISBN: 9788869059629
ASIN: B09HCTW7FS

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“Lo aspettava un destino grandioso, se le potenze superiori erano d’accordo, e quella notte avrebbe fatto il primo passo sulla strada verso la gloria.”
Un romanzo di formazione e trasformazione, martellante come una galoppata tra le sabbie roventi del deserto egiziano. L’ultimo incantesimo di parole del compianto maestro del romanzo di ambientazione storica, scomparso di recente, scritto a quattro mani con Mark Chadbourn, autore prolifico di romanzi storici, horror e fantascientifici, si propone come il sequel de “L'ultimo faraone”.
A buon diritto, dal momento che si inserisce sapientemente tra le pieghe narrative del ciclo egizio, gettando la luce abbacinante del sole d’Egitto nelle zone lasciate in ombra nei precedenti romanzi, regalandoci una profusione di richiami che al lettore appassionato del talento sudafricano non passeranno certo inosservati.
L’intero arco narrativo può essere letto come un implacabile resoconto del prezzo che un giovane rampollo benestante ed intraprendente come Hui si troverà a pagare per aver osato sottrarre la pietra di Ka, oggetto sacro piovuto da cielo, dalla furia spietata delle Averle, sanguinari predoni che imperversano con le loro razzie nei territori circostanti. Sarà quest’atto sconsiderato a mettere in moto una catena di eventi più forte delle umane forze.
Ma non del destino.“«Gli dei hanno un piano preciso per ogni uomo» dichiarò Qen in tono enfatico e severo. «Non lo rivelano con un rombo di tuono bensì lentamente, come il vento che fa emergere una piastra d’oro sepolta nella sabbia»”

Nella Città Bassa una donna cominciò a cantare, una voce purissima che saliva fino alle stelle.
La poderosa narrazione di Il nuovo regno si snoda tra pianori assolati sferzati dal vento del deserto e fenditure scavate nella roccia dalle tempeste di sabbia, dove solo gli habiru, i nomadi che hanno imparato la nobile arte di bastare a sé stessi, hanno l’ardire di inoltrarsi. O forse l’incoscienza.
In questa ambientazione ostile si dipana l’ovattata parabola di vita di Hui, figlio del governatore di Lahun, fiorente città sede della tomba del faraone, considerata come il luogo più sacro dell’Egitto e portale per l’aldilà.
Ma l’ambizione può giocare brutti scherzi: durante un’incursione notturna, che costerà la vita all’amico di sempre di Hui, saranno proprio quest’ultimo e il fratellastro Qen a mettere le mani su quello straordinario amuleto, del quale si favoleggia in lungo e in largo.
Quanto di più diverso, i caratteri di Hui e Qen: il primo non riuscirà mai a estirpare dal proprio cuore il peso per la morte dell’amico; diversamente il fratellastro, che sfoggerà ben presto la spudorata bramosia di chi ha ricevuto una ferrea educazione a calpestare contingenze e persone pur di non rallentare il passo, sfruttando tanto le prime quanto le seconde per il proprio esclusivo tornaconto. Se serve, scomodando persino Seth, il dio usurpatore che sollevò la mano contro lo stesso fratello Osiride.
Ben presto, le intenzioni del malvagio e ambizioso Qen, roso dall’invidia verso il futuro erede allo scranno di governatore, andranno delineandosi contro lo sfondo dell’innocente determinazione di Hui; animato dalla cieca presunzione di essere predestinato a un futuro radioso, Qen non tesserà da solo le proprie trame di dominio: a sostenerlo sarà la madre Isetnofret, seconda moglie di Khawy, governatore di Lahun e padre di Hui, donna scaltra e fascinosa, del tutto priva di scrupoli.
Il destino di Khawy sarà presto segnato: dalla morte del padre, sopraggiunta in circostanze tutt’altro che cristalline, la girandola di eventi si avvierà. Se non vorrà finirvi stritolato all’interno, Hui sarà costretto presto a fuggire come un volgare ladro, al fondo della gola l’amaro della condanna sommaria e della pubblica riprovazione, nelle vene il fiele del desiderio di vendetta.
Un desiderio che mai si era insinuato nella sua mente, e che d’un tratto muoverà ogni fibra del suo corpo.
Da quel momento, per Hui comincia un’odissea penosissima alla ricerca dell’opportunità per dimostrare la macchinazione messa in atto per incastrarlo e riabilitarsi agli occhi della sua gente.
Per far questo, però, Hui dovrà sporcarsi le mani e l’anima, disfarsi di scrupoli e sensi di colpa che lo impacciano da troppo tempo per infilarsi nei panni maleodoranti dei ladri di provviste e dei predoni sanguinari, con i quali dovrà mescolarsi rischiando la propria vita a ogni svolta di quello che sarà un cammino tortuoso, tra imboscate, guadi fluviali a slalom tra fauci di coccodrilli e fughe rocambolesche: soltanto vivendo di espedienti e piegandosi all’altrui capriccio gli sarà possibile, di volta in volta, salvare la pelle.
L’inesorabile corso degli eventi non avrà mai la meglio sull’altrettanto inesorabile volontà di Hui, che non distoglierà la mente neppure un attimo dal proprio disegno di rivalsa verso chi lo aveva scippato del proprio futuro costringendolo a una ignominiosa fuga. Verrà il giorno in cui i passi di Hui lontano da Lahun si riveleranno per ciò che sono, vale a dire una poderosa rincorsa prima dell’inversione di rotta: il predone diventerà un abile auriga, capace di guadagnarsi sul campo il rispetto e la stima di nuovi e vecchi amici.
E di rovesciare la situazione a proprio favore, riguadagnando ciò che gli spetta di diritto.
Un racconto costellato di incontri, nel corso dei quali il repertorio camaleontico degli umani sentimenti si dispiegherà in tutta la sua traboccante ricchezza: se vorrà rimanere vivo, Hui dovrà affrettarsi a far chiarezza nelle intenzioni dei vari personaggi di cui incrocerà il cammino. E, compito ben più arduo, nel profondo del proprio cuore: perché l’autentica meta ultima dell’immane viaggio che attende il protagonista sulla via del ritorno a casa rimane la propria emancipazione, e produrrà una metamorfosi strabiliante nella crisalide impacciata e incline all’autocommiserazione che egli era stato.
Sullo sfondo, la minaccia costituita dall’orda famelica degli Hyksos, barbari possenti e bellicosi che premono sui confini del regno e che nulla sembra possa arrestare: forti della loro temibile perizia di provetti combattenti a cavallo, custodiscono gelosamente le tecniche segrete per fabbricare archi dalla potenza invincibile, capaci di scagliare una freccia a una distanza doppia rispetto alle armi egizie.
Approfondimento
A parere di chi scrive, sul piano formale lo stile di Il nuovo regno mostra qualche pesantezza, in particolar modo se raffrontato con i precedenti romanzi di Wilbur Smith. I periodi talvolta si dilungano e divagano in maniera poco incisiva, talaltra mostrano di arrancare nel tenere il passo della concatenazione tra le (molte) vicende: sulla vividezza complessiva dell’esperienza di lettura pesa una cappa di fredda urgenza di rappresentazione cronachistica, che diviene preponderante nelle sequenze concitate, alle quali, all’opposto, fa difetto l’approfondimento dell’orizzonte emotivo che muove le braccia e le gambe del protagonista. Con le dovute eccezioni, ad esempio in corrispondenza dei frequenti incisi nei quali lo scoraggiamento prende il sopravvento sul protagonista e nella sua mente provata si insediano fantasmi di catastrofe imminente, con la loro corte di tentazioni autocommiserative, il tutto a detrimento del respiro generale della lettura.
Sul fronte dei personaggi, gli esiti sono invece di segno ampiamente positivo.
Notevoli le descrizioni delle diverse mansioni a cui gli schiavi sono intenti, con felici effetti di realismo immersivo nella resa degli utensili, del vestiario, della cura della persona, dell’organizzazione degli spazi di lavoro. È una scelta funzionale allo sviluppo della trama: mentre volteggia sul filo teso dal proprio destino, Hui si imbatterà in uomini e donne intenti a percorrere il proprio, di filo, da Fareed, il nomade, a Khyan, il condottiero degli Hyksos, dalla dolce e volitiva Ipwet, sorella di Hui, al generale egizio Tanus, fino al mago Taita di vecchia memoria.
Il tema del destino rappresenta in effetti un’asse portante per l’intero romanzo: la variegata umanità che si affanna e geme sotto il sole cocente dell’Egitto dei faraoni per guadagnarsi un boccone e un riparo appare succube di un disegno immodificabile che relega gli ultimi a vittime inascoltate, inducendoli a adottare schemi comportamentali stereotipati improntati alla pura e semplice sopravvivenza.
Coordinate prevalenti lungo il cammino di fioritura dell’uomo dalle spoglie del ragazzo sono la rettitudine e il coraggio, rischiarati alla luce della perseveranza che, più ancora che di sbarazzarsi delle proprie paure, ci impone di abbracciarle, e di lasciarcene trasformare.
Abbiamo ciò per cui uomini potenti sarebbero disposti a uccidere, la chiave per ottenere straordinarie ricchezze. Abbiamo ancora le nostre vite, e il nostro destino.