
Autore: Stig Dagerman
Pubblicato da Iperborea - Gennaio 2021
Pagine: 309 - Genere: Racconti
Formato disponibile: Brossura, eBook
Collana: Narrativa
ISBN: 9788870916317
ASIN: B08TRQLKFJ

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“Il serpente”, capolavoro della letteratura moderna, è un intreccio sinuoso e avvolgente di vicende umane accomunate da un unico background. Tutto nasce dell’idea bizzarra del soldato Bill di nascondere un serpente nello zaino, che verrà scambiato e da cui il serpente uscirà all’interno di una caserma inoperosa e assopita.
“Un’ora che faceva da barriera contro il panico.”
Tanti episodi, dalle vicende della giovane Irène, alla camerata dove una paura strisciante si insinua tra le storie che i protagonisti si raccontano di notte, alla camminata sul cornicione di Scriver ne “La fuga che non c’è stata”, che per la meraviglia del lettore si fondono in quest’opera unica nel suo genere.

Il serpente, del geniale e inquieto Stig Dagerman, è una meraviglia costellata di metafore che brillano come rubini.
Si gira soltanto, a fatica, sulla schiena e l’angusta volta celeste, con le dolorose punture di spillo delle stelle, la sovrasta all’improvviso.
Il serpente è un romanzo e al tempo stesso non lo è. Solamente alla fine della lettura, quando si chiudono le pagine del libro e lo si guarda da più lontano, si coglie il quadro di insieme, si percepisce una compattezza che rimane celata sino all’ultimo punto.
Nella prima parte Dagerman racconta di Irène, del suo amore/paura per Bill, soldato di un esercito quasi allo sbando, che si dovrebbe addestrare per una guerra che la Svezia teme possa chiudersi come un cerchio di ferro entro i suoi confini. Soprattutto del serpente che Bill nasconde nello zaino, e che striscerà per tutto il libro, spargendo un veleno che risveglia paure assopite.
Teneva il serpente in una scatola, nell’armadietto. Restava lì dentro giorno e notte e tutti si meravigliavano di come quell’armadietto fosse diventato diverso da quando c’era entrato il serpente.
Nella seconda parte del libro sembra di trovarsi di fronte a una raccolta di racconti dei componenti di una camerata in cui striscia la paura e dove si susseguono storie che la dovrebbero esorcizzare.
Conclude quella che a mio avviso è la terza parte, un terzo atto veloce e aguzzo come una lama, che squarcia letteralmente le pagine e finalmente mette a nudo proprio Stig Dagerman, il cui alter ergo è Scriver, e che ne profetizza la fine.
Per andare avanti, però, bisogna giustiziarsi.
La protagonista è di fatto la paura, l’inquietudine. Il serpente e le continue allusioni ad esso. Il serpente come simbolo di un male strisciante.
Alcuni brani di questa sinfonia sincopata sono di una potenza assoluta, come ne “La bambola di pezza”, altri hanno il gusto rancido di un sogno andato a male come “Lo specchio”.
Tutto il libro è un’opera che non può mancare in nessuna libreria e almeno una volta deve attraversare il cuore come un’extrasistole per farlo sussultare.
Approfondimento
Il serpente è un puzzle, un romanzo non romanzo, e si colloca in un genere letterario che di fatto è un non genere. È arte in senso lato. Dagerman non introduce i protagonisti né le loro storie, semplicemente ce li pone di fronte, e lo fa con una bravura esasperata. Riesce a essere poetico e innovativo mantenendo un linguaggio semplice, a volte persino rozzo ed elementare, non scadendo mai nel manierismo.
Il serpente non è un libro sulla guerra, seconda guerra mondiale. Non è un libro sull’amore né tantomeno sull’amicizia. È anarchico sotto tutti i punti di vista, come lo era l’autore.
Era come se, in quel momento, tutto il senso della guerra fosse quello: se il vecchio riusciva a dormire o no.
Mentirei se dicessi che è comunque un libro facile, ma mentirei anche se affermassi che non è in grado di regalare emozioni intense.
Dalla prima pagina ci si domanda cosa accadrà, perché, cosa succederà ai protagonisti, ma più ci si addentra nella camerata letteraria di Dagerman, più si capisce che c’è qualcosa di più importante e profondo.
Leggere Il serpente è impegnativo perché costringe il lettore a ricostruire motivazioni, fatti, premesse che nel libro semplicemente non ci sono, e spesso ci si domanda dove l’autore voglia andare a parare.
La lettura procede quasi a spirale, stringendosi verso il fulcro che tiene tutto in equilibrio. Oltre al serpente, che viene citato di frequente in maniera allusiva, serpenti delle code, serpente di ottone, sibilante saliva sputata, da un certo punto in poi compare l’immagine metaforica del cerchio di ferro, che altro non è, probabilmente, che un serpente nell’atto di stringere ogni cosa tra le spire.
Questo è stato un libro che ho amato e odiato, perché come tutte le cose intense e sincere ha colpito senza riguardo le mie corde. Scritto magnificamente, lode alla traduzione italiana, con quella che definisco la freschezza di chi scrive quel che vuole scrivere senza mezzi termini e senza l’impellente necessità di volersi uniformare a un genere.
Portando dentro di sé l’angoscia come si porta un inizio di febbre, senza sapere bene che cosa sarebbe successo.
Cristiano Dall’Asta