Inizia tutto con un viaggio in treno, chilometri da macinare guardando il paesaggio scorrere dentro il finestrino come in un cinema. Anna, Michele e il signor Campi non si conoscono ancora ma condividono lo stesso scompartimento, si guardano negli occhi e scorgono, l’uno nello sguardo dell’altro, la medesima curiosità di sapere, di raccontarsi, parlarsi. Michele e il signor Campi, il primo giovane e il secondo già anziano, capiscono immediatamente che Anna non è una ragazza come tutte le altre. Porta con sé un taccuino dalla copertina rossa sulla quale ha inciso un cuore in Bic blu, e scrive.
Scrive racconti ispirati alla vita quotidiana che si dirama intorno a lei – a partire da lei, come i raggi di un sole. Racconti di amore, morte e vita, solitudine che permea i tessuti della quotidianità. I tre iniziano a parlarsi mentre il treno corre portandoli sempre più vicini al momento della separazione. Di separazione, però, non si tratterà: Anna, Michele e il signor Campi continueranno a incontrarsi, amarsi, raccontarsi finché una tragedia non reciderà per sempre il loro legame. O meglio, il loro legame con Anna: Michele e il signor Campi continueranno a incontrarsi e a loro si aggiungerà Sofia, una dolce ragazza innamorata di Michele. Uniti, loro tre, nel ricordo di Anna, nelle pagine di quel taccuino che non ha potuto portare con sé.
Il lettore viene a conoscenza della morte di Anna sin dal primo capitolo quando, spiazzato, si ritrova dinanzi al profondo dolore di Michele e del signor Campi, al vuoto dell’assenza, al ricordo di lei che aleggia tra le stanze come un soffio di vento. Anna è la protagonista del romanzo, eppure non c’è. Non fisicamente, almeno. Lei è nelle sue parole, nei quattro racconti del suo taccuino coi quali l’autrice inframmezza la narrazione. Lei è la lacrima di Michele che Sofia asciuga, lei è la poltrona rimasta vuota nel salotto del signor Campi e tutti i ricordi che ha lasciato dietro di sé, andando via. Perché Anna è andata via per sua scelta, o almeno così sembra. Anna si è schiantata ad altissima velocità su una strada rettilinea, senza neanche un dosso o un filo di curva. Voleva morire o forse si è trattato davvero di un incidente? E la risposta a questa domanda – la più crudele, la più ossessiva – non può che essere nei suoi temi, tra le pagine del taccuino rosso.
Il tema di Anna è un romanzo e una raccolta di racconti al tempo stesso. Eterogeneo, policromo e affascinante, è una storia corale in cui le voci dei personaggi si confondono con la voce di Anna – l’unica che non possiamo ascoltare, l’unica che è solo scrittura su un quaderno. Ci sono dei momenti in cui il lettore, perseguitato dal fantasma di Anna, vorrebbe quasi infuriarsi con lei e mandarla al diavolo, un attimo prima di comprendere che Anna non è un fantasma bensì uno spirito guida. Il loro spirito guida. E’ lei a guidare Sofia e Michele l’uno verso l’altro, a proteggere il suo stesso ricordo nella mente dell’anziano signor Campi, a spingerli ad andare avanti e a scoprire la propria strada.
La scrittura di Marika Lopa è scorrevole e intensa, pervasa in ogni pagina da una partecipazione commossa che si esplica nella scelta degli aggettivi, nella profondità dei dialoghi, nella tridimensionalità psicologica dei personaggi. Non è affatto facile, per uno scrittore, delineare perfettamente un personaggio pur nella sua assenza, eppure Marika ci riesce e ci regala il profilo di un’antieroina dei nostri tempi: Anna, una donna che ha guardato in faccia il dolore, la solitudine e il senso di sconfitta del disamore. Anna che vive nel ricordo e che, lontana com’è, continua a infondere vita in chi l’ha amata fino all’ultimo e ancora adesso ha qualcosa da imparare, apprezzare e amare in lei che non c’è.