
Autore: John Banville
Pubblicato da Guanda - Febbraio 2017
Pagine: 284 - Genere: Narrativa Contemporanea
Formato disponibile: Brossura
Collana: Narratori della fenice

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Il segreto di Oliver Orme è una mania che lo contraddistingue fin dalla tenera età e non gli ha mai creato problemi, almeno finora, perché rubare piccoli oggetti non è come “rubare” una donna…

La vita di Oliver Otway Orme ci si dipana poco a poco nelle pagine de La chitarra blu, raccontata da lui stesso; pittore di una certa fama, marito dell’algida Gloria, conduce una vita apparentemente tranquilla. In realtà la sua anima è da sempre in subbuglio, tormentata da mille domande e dubbi, alla perenne ricerca di risposte che forse, in parte, già conosce.
Non è un temerario, Oliver: fin dall’infanzia ha evitato scontri o confronti, si è tenuto sempre in disparte osservando il mondo da un punto di vista estraneo agli altri, sentendosi diverso ma non per questo migliore.
Dalle sue parole conosciamo un uomo fisicamente ordinario, banale, perfino scialbo, ma è soprattutto l’opinione che ha di sé a livello morale che ci colpisce: il ritratto di un artista fallito, un marito infedele e un amico sleale; solo della sua mania segreta non riesce a vergognarsi: quella del furto. Oliver non ruba per necessità e non ruba oggetti di valore: è solo un piccolo ladro che si fa beffe di amici e parenti sottraendo loro piccoli oggetti, apparentemente insignificanti, sfidando ogni volta la sorte e “godendo” di quelle piccole squallide conquiste.
Ma non ci si può sottrarre per sempre ai propri errori, non quando ad essere “rubata” è la donna del suo miglior amico, Marcus.
Oliver e Gloria conoscono Marcus e Polly da alcuni anni: si frequentano regolarmente tra picnic e cene ed è durante una di queste che Oliver comincia a vedere Polly sotto una luce diversa; alterato dall’alcol comincia a flirtare con lei sorprendendosi non poco nel constatare che le sue attenzioni sono ricambiate.
I due iniziano una relazione clandestina.
L’ho rubata, me la sono presa mentre suo marito non guardava e me la sono infilata in tasca…
Il luogo che era stato per anni lo studio di Oliver, il suo rifugio dal mondo e dove tutto trovava un senso e un suo collocamento, diventa ora il luogo dei loro incontri: semiabbandonato, cosparso di tele non finite, freddo e impersonale come lui stesso si sente da quando ha perso la sua vena artistica.
I mesi trascorrono cadenzati dalla stessa routine finché Marcus, notando alcuni cambiamenti nella personalità di Polly, si insospettisce e confida le sue paure proprio all’amico; ed ecco che gli equilibri inevitabilmente si sfaldano: Oliver non riesce a confessare la sua colpa, non può ammettere di essere il ladro che subdolamente ha portato via l’amata moglie all’amico e temendo di essere smascherato fa l’unica cosa che gli è sempre riuscita bene: fuggire. Fuggire dalla paura, dalla vergogna, dalle responsabilità: un dileguarsi dal mondo intero a cui non sente di appartenere.
Forse sono una creatura di quei molteplici universi che, ci assicurano, esistono, tutti annidati l’uno dentro l’altro, come gli strati di una cipolla infinitamente vasta, e per un incidente cosmico ho fatto un passo falso e mi sono aperto un varco finendo in questo mondo…
E quale rifugio migliore della casa della sua infanzia?
Oliver ripercorre qui alcuni dei momenti più significativi della sua vita, dal rapporto con la madre che lo incoraggiò a coltivare la passione per la lettura al suo primo furto, e poi le estati in vacanza, gli studi in Francia, il matrimonio e quello che fu forse il dolore più grande, la perdita della figlioletta.
Ci porta con sé nei meandri dell’introspezione, dove i ricordi lo cullano e lo ossessionano, dove solo la verità è ammessa, ma spesso giustificata; la voglia di estraniamento però è pari al desiderio di essere infine trovato, magari da Gloria che oramai sente così distante e distaccata, dilaniata dalla perdita della figlia.
Non sarà però lei a trovarlo e niente succederà nel modo in cui aveva previsto e sperato…
Il monologo di Oliver è un lento percorso all’interno della sua anima, una vivida descrizione dei sentimenti e delle contraddizioni che lo hanno segnato e hanno contribuito a farlo sentire così diverso da chiunque: le emozioni, le sensazioni sono rappresentate come fossero tele, dai colori ora vivaci ora tenui ma sempre vere, “sentite” nel profondo.
Questo modo di raccontare coinvolge il lettore spingendolo a immaginare, a “vedere”, a riflettere sulle cose anche banali da un punto di vista differente dal solito; il suo modo di osservare la realtà con disillusione e disincanto è spesso intriso di ironia, sempre velato da una nota drammatica.
La chitarra blu è un diario che va letto lentamente, passo dopo passo, immergendosi appieno nelle descrizioni perché la trama non è ricca di azioni, ma al contrario ci appare a volte immobile, rispecchiando la stessa immobilità del protagonista che pur tenta di trovare un senso alla sua esistenza.
Approfondimento
Con La chitarra blu, John Banville ci regala un romanzo peculiare: il protagonista si auto-esamina in una sorta di confessione lucida, un’autocritica minuziosa dove non mancano citazioni letterarie e rimandi a opere di artisti noti; i dettagli sono di importanza vitale, le descrizioni vivide, lo stile è elegante, preciso.
La narrazione a tratti non è molto scorrevole in quanto il romanzo è quasi interamente introspettivo ma non manca qualche colpo di scena.
Sicuramente non è una lettura adatta agli amanti dell’azione ma a chi ama l’analisi dell’io interiore, a chi rivolge i propri pensieri più verso sé stesso che al mondo esterno, a chi vuole trascorrere qualche ora alla ricerca di qualcosa forse inafferrabile…
Sabrina Bizzarra Rambelli