
Autore: Mirko Zilahy
Pubblicato da Longanesi - Aprile 2017
Pagine: 420 - Genere: Thriller
Formato disponibile: Copertina Rigida
Collana: La Gaja scienza

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Nel sottosuolo della Capitale agisce un assassino seriale. Al commissario Mancini spetta il compito di scovare lo “Scul-tore”, il terribile killer che mette in posa le sue vittime, affinché incarnino alla lettera i mostri della mitologia ellenica: il gruppo del Laocoonte, la Sirena dell’Odissea, Medusa e, tra gli altri, il Minotauro.

Lui non racconta la sua storia. Racconta la sua favola. Insegue le sue paure. E uccide i suoi fantasmi.
Un “ragazzo con gli occhi di cielo” fugge dal monastero in cui era stato segregato dopo l’uccisione del confratello, suo carcerario e guardiano. In preda al delirio, decide che la sua missione è di riportare l’ordine nel mondo, eliminando i mostri portatori del caos primigenio. L’assassino plasma le sue vittime fino a farle divenire una rappresentazione reale delle figure mitologiche della tradizione greca. Novello Demiurgo, egli non si fermerà senza aver prima portato a termine il suo disegno: uccidere il Re del caos. Un difficile caso per il profiler Enrico Mancini, tormentato nel proprio intimo dai “mostri” del suo passato, gli stessi che potrebbe precipitarlo in un abisso senza fine. In una serrata lotta contro il tempo e contro il proprio lato oscuro, i due antagonisti dovranno fare i conti la paura straniante del fallimento.
La forma del buio è un thriller che ha ben poco di originale. Le atmosfere cupe, i sotterranei, come anche la scelta di ambientare la storia a Roma, appartengono a un repertorio largamente abusato dagli scrittori del genere. E se altrove tale scenario faceva da coprotagonista alle vicende (basti pensare a Il maestro delle ombre di Carrisi), in questo romanzo l’ambientazione è un semplice fondale scenico in cui le vicende prendono vita. I personaggi mancano di un convincente spessore psicologico, tanto che nelle battute finali dell’opera il lettore è investito da un’inusuale dose di indifferenza. Un errore, questo, imperdonabile a un romanzo appartenente alla categoria dei thriller.
Approfondimento
La forma del buio, nonostante i difetti da cui è macchiato, rimane però un libro in grado di incuriosire il lettore. Le pagine scorrono rapidamente e sin dalle prime battute subentra il desiderio di conoscere gli sviluppi della storia. Ciò che lo rende manchevole è tuttavia la tensione narrativa insita nel genere. Una cosa è, infatti, destare la curiosità, un’altra è coinvolgere il lettore in una tensione spasmodica, il cui culmine coincide inevitabilmente con la resa dei conti. Manca, in altre parole, l’afflato poetico capace di inchiodare e, contemporaneamente, inquietare.
Lo sguardo allucinato del protagonista regala le pagine più riuscite dell’opera. Il continuo cambio di prospettiva che rivela i deliri dell’assassino hanno il pregio di catapultare il lettore nella dimensione emotiva del protagonista. Tutto ciò, però, non vale a riscattare l’opera dalla mediocrità in cui rimane impantanata dal principio alla fine.
Apprezzabile risulta, invece, il riferimento al concetto filosofico di Hobbes (homo homini lupus) che sembra rivelarsi nella frase: Ogni predatore, prima o poi, si trasforma in preda. La sola differenza tra gli altri animali e noi è che noi siamo preda del cacciatore più inesorabile che ci sia: l’uomo stesso.
Una “massima” che rivela l’essenza stessa della natura umana e che costituisce la chiave di lettura del comportamento aberrante degli assassini seriali (e non solo).
Riscatta l’opera, almeno in parte, la lontana eco del romanzo di Hermann Hess Narciso e Boccadoro, di cui La forma del buio sembrerebbe essere la versione noir. Concorre a creare tale familiarità tanto l’ambientazione monastica di alcune scene, quanto la figura dell’assassino (biondo, abile artigiano del legno e dannato da una colpa che trova conforto solo nel ricordo del padre superiore, suo naturale antagonista e perfezionamento). La forma del buio di Mirko Zilahy è così illuminata dal riflesso di una fiamma ben più vivida.
Lo stile è piacevole, senza eccessi e senza fronzoli, che pecca di chiarezza nelle descrizioni delle fasi più concitate del romanzo.
Mariangela Librizzi
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