Autore: Philippe Lançon
Pubblicato da E / O - Gennaio 2020
Pagine: 460 - Genere: Autobiografico, Narrativa Contemporanea
Formato disponibile: Brossura, eBook
Collana: Dal mondo
ISBN: 9788833571768
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Philippe Lançon reporter, giornalista e critico d’arte è qua scrittore e protagonista di una storia, della sua storia, quella che nasce il 7 gennaio 2015 con l’attentato terroristico alla sede editoriale di Charlie Hedbo.
Questo romanzo autobiografico è il racconto di ciò che è successo dopo quel giorno all’uomo Philippe, ma in fondo è il racconto di come un momento può cambiare la vita di ognuno di noi.
La vita di Philippe Lançon cambia inevitabilmente il 7 gennaio 2015, quando due attentatori islamici entrano nella sede di Charlie Hedbo e sparano all’impazzata. Dodici uomini rimarranno a terra e non si alzeranno più, undici invece saranno i feriti. Philippe verrà trasportato d’urgenza in ospedale con ferite alla mano e al volto.
…la rapidità del massacro e lo stupore che ha preceduto l’esecuzione di ognuno di noi. Tignous è morto con la penna in mano come un abitante di Pompei raggiunto dalla lava, ancora più velocemente, senza neanche sapere che c’era stata l’eruzione e che la lava stava arrivando, senza poter sfuggire agli assassini scomparendo nel disegno che stava facendo.
Da qui avrà inizio la sua storia di ricostruzione (lo sparo gli ha portato via parte della mandibola e del labbro, oltre ad alcuni denti), ricostruzione che passerà attraverso un infinito numero di interventi, ma anche un percorso interiore fatto di ricordi, di riflessioni e di incubi.
La traversata non è un libro per deboli di cuore e persone troppo empatiche. Lançon da bravo reporter nonché critico d’arte abituato ai dettagli, non risparmia nulla al suo lettore. Le operazioni ci vengono raccontate, le complicazioni, i fallimenti, i particolari esposti al pubblico senza il minimo pudore. Il lettore in alcuni passaggi di questa vicenda che è una sorta di Odissea, sentirà il desiderio di toccarsi la mandibola, di verificare che tutti i denti siano al loro posto. Il romanzo di Lançon è vivo è tridimensionale, lo si sente tutto sul proprio corpo.
Il libro inizia la sera prima dell’attentato e qua Lançon ci offre una lenta e dettagliata visione di una serata a teatro, pare volerci dire: andiamo piano, prendiamoci tutto il tempo, perché dopo arriverà l’orrore. Quell’orrore che noi lettori sappiamo che ci sarà perché è ormai scritto nei libri di storia, lo sa il giornalista/scrittore perché sa cosa andrà a raccontarci, non lo sa ancora quel protagonista che ignaro si gode i dettagli di quella sua serata.
Dedica però poche pagine al prima, Lançon, come ne dedica poche a parlare di terrorismo, se non quello che gli serve per raccontare ciò che è successo alla sua persona, ciò che lo ha portato a dover cambiare la vita, a dover lottare per riavere una sorta di normalità. E la sua vita sarà quella di un uomo che dovrà tornare a imparare a parlare e a mangiare. Una vita che si concentra nell’imminente, nell’urgenza di recuperare e nelle mura di un ospedale: prigioniero in una camera e sotto scorta. I suoi coprotagonisti diventeranno i familiari e gli amici in visita, la donna che ama o quella che ha amato, le guardie del corpo, i chirurghi e gli infermieri.
Fuori di lì la gente aveva probabilmente una vita, ma quelle vite erano scomparse fin dal primo giorno tra le quinte, da cui uscivano solo per esistere lì, nei pochi metri quadrati della mia scena. Al di fuori della camera, quelli che entravano avevano meno esistenza dei personaggi di un romanzo una volta chiuso il libro. Non riuscivo più a immaginarli fuori dal cerchio ristretto della mia vita.
Ma diventano spalla del protagonista anche la scrittura: sia quella primaria dettata dall’esigenza di farsi capire. Quella lavagnetta che diventa la sua voce. Ma anche la scrittura come contatto con l’esterno, ripresa del lavoro, tentativo di non essere lì
Scrivere sul mio caso era il modo migliore di capirlo e assimilarlo, ma voleva dire anche pensare ad altro, perché per qualche minuto colui che scriveva non era più il paziente sul quale si scriveva, ma il reporter e lo storiografo di una ricostruzione.
La lettura, quella che già troviamo nelle prime pagine quando ci parla dell’uscita di Sottomissione il romanzo di Houellebecq che esce proprio quel fatidico 7 gennaio, sia quando ci parla di quel romanzo Blue Note
Un libro di jazz… che avevo appena ricevuto. Quel libro, come si vedrà, mi ha probabilmente salvato la vita e, come ogni giorno, adesso che sto scrivendo a pochi metri da lui. È il mio talismano immobile.
O Proust o Kafka che lo accompagnano nella traversata e in ogni percorso tra camera e sala operatoria.
La musica.
La traversata ci racconta un viaggio, ma ci racconta soprattutto un punto di rottura. Quel momento che è il fulcro del tutto, quel momento partendo dal quale tutto sarà diverso. Lançon ci parla di questo raccontandocene le conseguenze. La traversata è fondamentalmente la storia di un cambiamento
L’ho scritta per alleviare la tristezza che prevedevo: scrivere significa protestare, ma anche già accettare. Così la prima frase ha avuto la virtù di farmi capire quanto la vita stesse cambiando e quanto fosse necessario accettare senza esitazioni le imposizioni di quel cambiamento.
Approfondimento
La traversata è un romanzo non facile e non per tutti, come ho già accennato qualche riga fa. È un romanzo che a volte viene voglia di accantonare perché fa male, ma al quale ritorni con l’attesa del paziente che si toglie le bende dopo un intervento; con l’attesa di sapere che tutto si può risolvere e che anche una vicenda atroce come un attentato può incontrare la forza della ripresa ed essere sconfitto da questa. La traversata è la storia di un’intimità messa a nudo, mi viene da dire, per il bene comune, per quello che la letteratura fa spesso: permettere al lettore di ritrovare una parte di se stesso, ma anche capire che siamo esseri fragili
Gli eventi brevi, violenti e inaspettati prendono tutto lo spazio nelle nostre vite perché le capovolgono, ma i particolari di quegli irreversibili minuti sembrano sfuggire alla memoria, e difatti scrivo con la debole speranza di recuperarli in parte.
Monia Merli