
Autore: Giuseppe Culicchia
Pubblicato da Einaudi - Marzo 2016
Pagine: 231 - Formato disponibile: Brossura
Collana: L'Arcipelago Einaudi

📗 Acquista scontato su ibs.it
📙 Amazon (spedizione gratuita)
📙 Versione Kindle
📙 Acquista online
✪ Le recensioni dei lettori su Goodreads
Un glossario ironico e pungente sui luoghi comuni che pullulano nel nostro paese.

Mi sono perso in un luogo comune di Giuseppe Culicchia vuole essere un comico dizionario degli stereotipi in Italia, ed è condito con un gioco di libere associazioni quasi psicoanalitico, poiché l’autore imprime un tocco personale al suo vocabolario aggiungendo esperienze e pareri personali. Un adattamento tutto all’italiana del Dizionario di Flaubert, citato proprio all’inizio con la voce dizionario: “Riderne. È fatto solo per gli ignoranti”.
Culicchia non mantiene solo la forma dell’opera francese, ma anche le intenzioni. Come diceva Flaubert: “Bisognerebbe che […] una volta letto il dizionario, non si osasse più parlare, per paura di dire spontaneamente una delle frasi che vi si trovano”. Chi legge questo libro probabilmente non vorrebbe mai sentirsi ricadere sulla testa l’epiteto della stupidità, dunque sicuramente ci penserebbe due volte prima di ricorrere nuovamente a una delle frasi fatte denunciate.
Il target di riferimento (sia come lettori sia come fonti di questi stereotipi) sembrano essere le persone over 40. Molti dei luoghi comuni infatti sembrano ormai sorpassati. Davvero le bambine e le adolescenti vogliono ancora fare le veline, oppure, davvero le persone credono ancora che le bambine vogliano fare le veline? Poteva essere vero dieci anni fa. È vero che alcuni stereotipi sono duri a morire, ma quando sono finalmente nella tomba non andrebbero riesumati.
Come annuncia il titolo, spesso Giuseppe Culicchia si perde (volutamente) nei suoi luoghi comuni, in battute talmente scontate da risultare l’ennesima, infinita, ripetizione di un scherzo prototipico. Vedi l’acidità delle donne, la fastidiosa presenza della suocera, l’ostilità verso gli stranieri, il vedere gli americani e l’America tutta come la personificazione di una semiautomatica.
Sebbene questo si possa perdonare, risulta profondamente più indigesto quando l’autore ripete se stesso, specie se con glosse immediatamente successive. Culicchia si è smarrito nel labirinto dei cliché, ma potrebbe evitare di continuare a prendere sempre la stessa direzione nei bivi delle parole. Ad ogni modo, alle sue osservazioni non manca una buona acutezza che arricchisce il libro di note che fanno riflettere.
La ricerca della provocazione è costante. Culicchia vuole scatenare moderne Religion Wars usando un sarcasmo tagliente che può far ridere a denti stretti, quasi in un ghigno, chiunque si trovi d’accordo con lui.
Gli altri si devono preparare a non pochi moti di fastidio. Il politically correct è totalmente bandito.
Leggendo Mi sono perso in un luogo comune è infatti impossibile non pensare ai cosiddetti “leoni da tastiera”, a coloro che Umberto Eco definiva le “legioni di imbecilli” ai cui i social media avrebbero dato la parola. Sono certa che questa fosse espressamente una delle intenzioni dell’autore.
Approfondimento
Rimane nel dubbio se Mi sono perso in un luogo comune parli degli stereotipi degli italiani o sia un compendio degli stereotipi su di essi, su ciò che pensano.
Il difetto più importante riscontrato è forse la lettura è gradevole per le prime trenta pagine, poi l’attenzione sfuma. Piuttosto che leggerlo in modo lineare è meglio saltare da un vocabolo all’altro in base all’estro del momento. Forse la lettura sarebbe stata più piacevole e duratura se, invece della struttura a dizionario, Culicchia avesse usato dei capitoletti di una-due pagine per ogni argomento. In questo modo, inoltre, avrebbe risolto il problema della ripetitività. Mi sono perso in un luogo comune ha però il pregio dell’ innegabile comicità di alcune glosse (Hemingway: noto preparatore di cocktail), così come la capacità di farci riflettere su noi stessi e sul nostro mondo.
ITALIANI Brava gente. La rovina dell’Italia. Maestri nell’arte di arrangiarsi. Pizza e mandolino. Un popolo di sarti, cuochi e calciatori. Elogiarne la creatività, sorvolando sul resto. Citare Mussolini: «Governare gli Italiani non è difficile, è inutile». Citare anche Churchill: «Bizzarro popolo, gli Italiani. Un giorno, 45 milioni di fascisti. Il giorno dopo, 45 milioni di antifascisti e partigiani. Eppure questi 90 milioni di Italiani non risultano, dai censimenti».
La parte più bella del libro sono sicuramente le parti in cui Culicchia parla di sé, in cui nasconde se stesso nelle parole del suo dizionario. Sono momenti di identificazione, di divertimento, o di pura commozione. Vi do un consiglio con le parole che userebbe l’autore: Vedi PIZZA.
Giulia Scaglioni