
Autore: Simona Vinci
Pubblicato da Einaudi - 19 settembre 2017
Pagine: 128 - Genere: Biografico
Formato disponibile: Brossura

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La paura di uscire, l'ansia per la nascita di un figlio, la depressione latente che accompagna la vita di una donna, in questo caso la stessa autrice: nel libro riesce ad esternare tutte le sue paure anche quelle più autentiche senza reticenze.

“La paura saliva al cervello, s’impadroniva del corpo, arrivava al suo culmine, poi iniziava a decrescere e defluire. […] Ogni volta, spossata, mi rendevo conto che ero ancora viva. Potevo sopravvivere alla paura semplicemente rinunciando a controllarla.”
La paura è qualcosa di irrazionale, di difficile controllo e ancora più difficile trovare una difesa.
Lo sa bene Simona Vinci che nel suo libro cerca di fare della sua esperienza personale un messaggio collettivo, non certo come certi manuali incoraggianti e pieni di speranza che incitano ad una rapida guarigione dalla malattia. La malattia in questione è il male oscuro, la depressione, non vuole trovare una terapia, ma forse l’unico modo per liberarsi di un peso interiore è parlarne, scrivere, riflettere su se stessi, o perlomeno così è riuscita l’autrice a proseguire la sua vita, non con meno ansie, ma con alcuni punti fermi ai quali aggrapparsi, primo fra tutti la scrittura.
L’autrice ci riesce e se all’inizio non sono entrata in sintonia con la sua narrazione, dopo alcuni capitoli qualcosa mi ha catturata e coinvolta anche se non ho mai sofferto come lei: la verità con la quale si mette a nudo è l’arma con la quale l’autrice è riuscita a colpirmi profondamente.
Il racconto dei primi attacchi di panico, il rifiuto per una propria femminilità e le attese dal chirurgo plastico, le sedute di psicoanalisi, una perdita dolorosa, un amore non vissuto fino in fondo, un figlio la cosa più bella vissuta come dolore: credo che il racconto che mi ha lasciato un segno più profondo sia stato proprio la parte sulla maternità, il fatto che un figlio considerato da tutti la cosa più bella possa per alcune donne essere un peso tanto grande. Il modo con il quale riesce a narrare il suo personale con così tanta ferocia e verità è davvero un bellissimo modo per riuscire a comprendere cosa sia la paura di vivere.
Non c’è nessun velo alla narrazione, tutto viene esplicato in modo chiaro, a volte crudele, ma necessario per mostrare veramente quello che si cela nell’animo di chi ha un malessere interiore.
Quando si va a ritroso nella sua vita personale sulle note dei Soundgarden, ci perdiamo in una narrazione ricca di citazioni e di fatti personali, molto intimi e dolorosi. Non c’è pietismo nel racconto, solo un grande senso di libertà in quelle pagine da parte di chi ha sofferto e il cui dolore non è spiegabile se non lasciando andare i pensieri e scrivere il proprio vissuto.
È grazie alle parole, quelle che ho letto, quelle che ho scritto, quelle che ho ascoltato e quelle che ho pronunciato, se sono ancora viva
Approfondimento
L’autrice riesce con uno sguardo limpido e profondo a tratteggiare tutte le sue sensazioni.
All’inizio del libro non si entra subito in empatia con l’animo della narratrice, forse dipende dall’esperienza personale e sicuramente chi ha potuto suo malgrado trovarsi nelle situazioni descritte si riconoscerà sicuramente in ogni minimo particolare. Nell’immediato non mi hanno colpito i fatti quanto la prosa narrativa, lo stile pungente e razionale con il quale si descrive così bene qualcosa di profondo e impenetrabile come l’animo umano.
Simona Vinci, in questo libro, non solo è narratrice ma protagonista della sua vicenda e non si risparmia di fronte al pubblico nel mettersi anche in cattiva luce, visto alcuni passaggi crudi, ma molto reali. Si tocca da vicino qualcosa che ci sembra conoscere, ma in realtà la verità è molto più profonda e l’autrice lo sa bene.
La scrittura sembra davvero l’unico modo per far capire le radici della depressione e leggere un libro ben scritto sembra essere il modo migliore per comprendere e avvicinarsi alle persone che soffrono o a capire anche noi stessi al di là dello specchio.
Gloria Rubino
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