
Autore: Pitchaya Sudbanthad
Pubblicato da Fazi - Marzo 2021
Pagine: 461 - Genere: Narrativa Contemporanea
Formato disponibile: Brossura, eBook
Collana: Le strade
ISBN: 9788893256377

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Cosa accade se si tiene fermo il punto d’osservazione per due secoli? Se si guarda nella stessa direzione per duecento anni? Nel suo romanzo d’esordio, Pitchaya Sudbanthad ha voluto raccontarci la storia di una casa e dei suoi inquilini nell’arco di un lungo arco di tempo. Personaggi le cui vite spesso si sfiorano solo per un attimo. Destini diversi accumunati dall’aver attraversato, magari anche solo per poco, un minuscolo pezzetto di mondo collocato nel cuore di Bangkok.

Vi è mai capitato di pensare a come potesse apparire cento anni fa la via nella quale abitate? O di chiedervi chi abbia attraversato quegli stessi corridoi sui quali passeggiate a piedi nudi? Quali litigi, amori o risate abbiano visto e ascoltato le pareti della vostra casa prima che diventasse “vostra”? Vi sembra una fantasia assurda? Eppure credo sia vero che, in un certo modo, “I luoghi si ricordano di noi”.
A questo punto forse non sembrerà così strano che Pitchaya Sudbanthad abbia deciso di far ruotare le vicende di Sotto la pioggia attorno ad una stessa abitazione, osservata nel corso di due secoli. Una casa che cambia e si evolve, mutando con lo scorrere del tempo. Una casa percorsa da persone diverse, ignare le une delle altre. Non sappiamo se siano loro, i personaggi, a plasmare a propria immagine l’abitazione in cui vivono o sia invece questa a modificare loro. E non sappiamo neanche se sia Bangkok ad essere soggetta alla volontà degli uomini e ai loro capricci, o se sia la città a muovere i suoi abitanti come pedine in una partita di scacchi. Ci limitiamo a vedere queste figure affacciarci sulla scena, imparando gradualmente a conoscerle.
A questo punto non possiamo che chiederci: chi sono i protagonisti di queste storie?
Da prima è Phineas Stevens, medico del New England: un missionario del XIX secolo trapiantato in quello strano angolo di mondo. Lo vediamo spaesato, a tratti impaurito, desideroso di abbandonare al più presto una città caotica che non riesce a capire o a sentire veramente sua. Un salto temporale ci porta a conoscere Pehn, una donna esuberante, con un passato a Londra come moglie e madre e un presente solitario in una casa che intende vendere. La stessa casa in cui si esibirà un pianista jazz, incapace di slegarsi dai fantasmi del suo passato e da un amore che in fondo non è mai finito.
Continuando il nostro cammino verso il XXI secolo, incontriamo Nee, una ex militante politica con una ferita sempre aperta sul cuore. E poi ancora Mai, una ragazza insicura, incapace di capire che direzione potrà prendere la sua vita. Ma l’autore non si accontenta di condurci fino al 2020: vuole andare oltre. Così come ci ha raccontato il passato vuole svelarci anche il futuro. Un futuro popolato da individui “postcorporei” in cui un gruppo di adolescenti è pronto ad accogliere turisti ed ex residenti in una Bangkok ormai sommersa dall’acqua.
Arriviamo così all’epilogo di una catena di storie lunga due secoli. Niente è più come prima. Sono cambiati gli uomini, le loro abitudini, il loro rapporto con la vita e con la morte, ed è cambiata la città, fin quasi a scomparire. Il nostro punto di osservazione è rimasto lo stesso ma quello che vediamo sembra uno scenario irrimediabilmente diverso, senza nessun rapporto con quello del passato. E, in fondo, siamo sicuri di non essere cambiati un po’ anche noi?
Approfondimento
Perfino la più meravigliosa delle giornate prima o poi dovrebbe finire.
Un romanzo in cui si sceglie di racchiudere così tanti salti temporali rappresenta per un autore una grande sfida. Tenere legato a sé il lettore, accompagnandolo in modo da conservare la sua attenzione senza mai farlo sentire perso, non è semplice. Purtroppo Pitchaya Sudbanthad non sempre è stato all’altezza dell’impresa.
Quello che spesso capita è di concludere un capitolo in cui si è iniziato a conoscere un personaggio e di essere improvvisamente chiamati ad entrare in un’altra vita, apparentemente del tutto slegata dalle precedenti.
E poi… in che anno siamo? Non era un missionario dell’Ottocento quello che stavamo osservando? E allora perché si parla del 1973? Ora cosa succede? Siamo a Londra: perché? Ah, no? È il New Jersey? È il 1967? Ma come, non era Bangkok? Non erano gli anni ’90?
E così ci ritroviamo ad andare avanti e indietro, in balia di un racconto che spesso non ci dà il tempo di capire. Di approfondire. Quando pensiamo di essere riusciti a tratteggiare la giusta linea temporale, veniamo di nuovo sballottati. In un’altra epoca. In un’altra storia. E questo inevitabilmente pesa tanto sull’impianto narrativo. Il senso di confusione si fa sempre più acceccante. Non capiamo, fatichiamo a ricostruire i legami, gli appigli. Avvertiamo la sensazione di un “troppo” che genera disordine, impedendoci di amare davvero questo romanzo.