Autore: Jenny Downham
Pubblicato da Bompiani - 2009
Pagine: 343 - Genere: Young Adult
Formato disponibile: Brossura
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La vita di Tessa è adesso. Ogni attimo, ora, qui, senza sprechi. Ogni istante deve essere emozione perché il suo tempo è limitato, molto limitato… sta per finire. Trasgressione, dinamicità, esternazione di pensieri, amore… perché c’è bisogno di fare il più possibile prima di cadere. All’Infinito. Prima di lasciarsi andare in una lama di luce, prima di lasciarli andare tutti.
Già nel lontano 1970 Erich Segal aveva buttato giù poco più di 135 paginette da sceneggiatura, dove tra innumerevoli discorsi diretti ne uscì la sibillina aforistica verità «Amare significa non dover mai dire mi dispiace». Quindi niente di nuovo in Voglio vivere prima di morire né sul tema – diagnosi leucemia, prognosi infausta a breve, troppo giovane e troppo innamorata per morire- né sul finale. Tuttavia devo encomiare Jenny Downham, londinese ex-attrice ora cinquantenne, per il suo primo romanzo Befor I die, genere Young Adult Novel, pubblicato in Inghilterra nel 2007, insignito del premio Branford Boase Award 2008, candidato nel 2007 al Guardian Children’s Fiction Prize e The Lancashire Book of the Year, nel 2008 al Carnegie Medal e The Booktrust Teenage Prize.
Sì, in effetti, come preambolo sembra la solita solfa. Romanzo d’amore strappalacrime stile Harmony; ne hanno fatto persino un film, Now is Good con attrice protagonista Dakota Fanning. In verità è stata molto brava l’autrice a “scribacchiare” tutt’altro in una storia che si lascia leggere, o almeno io colgo questo. Già con una lettura esplorativa grazie anche al tipo di linguaggio semplice di una matura sedicenne, quindi pungente ed efficace, sempre in prima persona con focalizzazione interna – Tessa, la protagonista – con soliloqui e flussi di coscienza, riesco a cogliere passaggi di verisimiglianza con la realtà dei fatti crudi, delle sensazioni d’inacidimento della persona che sta per morire: le cinque fasi prima della fine. Andando oltre, alla lettura analitica, posso arrivare a sentire prima il rifiuto, anche da parte dei familiari, la collera, la disperazione, il patteggiamento per una dilatazione del tempo «Non voglio esser morta: voglio essere amata così, ancora per un po’» e in finale la depressione, che si vive perché Tessa ha la consapevolezza di perdere la vita «Non riesco ad aggrapparmi a niente».
C’è bisogno di silenzio, ha bisogno di ascolto, ha bisogno di vicinanza, anche da parte di Adam, suo unico amore con l’A maiuscola, perché è quella che le permetterà poi di morire in uno stato di accettazione. Sebbene sia un romanzo facile e fresco, mi sento di citare qualcosa di molto profondo «Non siamo piuttosto noi sani a chiedere la “morte degna”, mentre i malati chiedono una vita degna fino all’ultimo istante, fatta di quello che caratterizza l’uomo: la capacità di amare e di essere amati? Essi hanno il problema del non abbandono, di qualcuno che li accompagni nel percorso di cura in tutte le sue fasi e in tutti i suoi aspetti» (card. A. Scola, Discorso del Redentore 2009 – n. 6/b: I malati terminali e le cure palliative). Audace argomento in questo contesto di lettura spensierata rosa ma per chi ne avesse il coraggio e la voglia di affrontare tematiche similari sotto un’altra ottica, la tanatologia psicologica, ci son l’Elisabeth Kübler – Ross e la Cicely Saunders che li trattano con maggior serietà.