
Autore: Bruno Arpaia, Pietro Greco
Pubblicato da Guanda - Aprile 2013
Pagine: 174 - Genere: Saggi
Formato disponibile: Brossura
Collana: Le Fenici rosse

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La cultura è un bene di lusso? La nostra classe dirigente non ha dubbi: non si mangia e quindi non serve. O, secondo altri, è bella e utile ma non possiamo permettercela. Risultato bipartisan: tagli su tagli, dal 2,1 per cento della spesa pubblica nel 2000 allo 0,2 di oggi, e un’Italia avviata nella più infelice delle decrescite. E invece si dà il caso che la cultura sia, ovunque, il motore dello sviluppo, come dimostra questo pamphlet documentato, battagliero, propositivo di Bruno Arpaia e Pietro Greco.

“La cultura non si mangia”, dichiarò nel 2010 l’allora Ministro dell’Economia Giulio Tremonti, giustificando i suoi radicali tagli all’università, alla scuola di primo e secondo grado, al Fondo unico per lo spettacolo e ad altre istituzioni simili. I tagli alla cultura da allora a oggi sono continuati in maniera inesorabile. Destra e sinistra hanno spesso fatto pomposi proclami sull’importanza della ricerca, dell’innovazione, della cultura in generale ma di fatto poco o nulla è stato compiuto per fare in modo che questo processo degenerativo di depauperamento cambiasse rotta. Eppure è stato detto e scritto più volte l’Italia, il Bel Paese, possiede un’inestimabile ricchezza culturale che può diventare la fonte di una crescita sociale ed economica diffusa.
La cultura è un fattore fondamentale che si basa sul triangolo della conoscenza dove ai vertici ci sono la formazione, lo sviluppo scientifico e tecnologico e quello che erroneamente si chiama industria culturale e che preferibilmente sarebbe più giusto chiamare industria creativa. In tal senso i tre vertici coinvolgono il Patrimonio, i Media, le Industrie culturali, le scuole, le università e la Creazione artistica di un paese che coordinati e impiegati in maniera ottimale ed efficienti diventano una fonte unica e irripetibile di sviluppo economico. Il modello del Museo Guggenheim a Bilbao lo dimostra alla grande. I risultati di come è ridotta la nostra Patria, invece, purtroppo, sono sotto gli occhi di tutti.
Gli esempi che i due autori di La cultura si mangia ironicamente ci propongono sono le imbarazzanti risposte a domande di cultura generale di noti esponenti politici della seconda Repubblica. Per cui la sinagoga è un luogo di culto per le donne musulmane; Gerusalemme è la capitale della Palestina; Netanyahu è un leader iraniano; Shakespeare è un drammaturgo dell’Ottocento. La lista di gaffe, chiamiamole così, potrebbe continuare all’infinito e farci vergognare profondamente di essere rappresentati da politici così colti. Se a questo poi si aggiunge che l’Italia è uno dei paesi con il più alto numero di abbandoni scolastici, il minor numero di laureati e il maggior numero di menti migliori che fuggono all’estero, il quadro negativo e sconsolante è completo. E quindi Arpaia e Greco si chiedono, e noi insieme a loro, come sarà l’Italia fra trent’anni? Da un lato avremo il mondo della conoscenza: con Paesi come la Corea del Sud, il Giappone, la Russia, il Canada in cui tre persone in età da lavoro su cinque avranno una laurea e in cui i principali fattori di sviluppo economico saranno la ricerca e le industrie creative. Altri paesi come gli Stati Uniti, la Cina, il Brasile tenderanno a raggiungere in un modo o nell’altro performance analoghe. Dall’altro lato, invece, paesi come l’Italia con meno mobilità sociale, con più inefficienza, con più disuguaglianza, e soprattutto con meno idee su stessa e su quello che potenzialmente ha ed è, un paese “escluso dalla conoscenza” e conseguentemente con sempre meno servizi, beni, welfare. Insomma un paese senza futuro.
Approfondimento
In La cultura si mangia Bruno Arpaia e Pietro Greco sfatano una serie di miti: non è vero che il nostro Paese può vivere di “patrimonio artistico” e di “bellezze paesaggistiche tout court”. Patrimonio e bellezza vanno tutelati e valorizzati al più presto con un progetto di sviluppo fondato sulla conoscenza. Spunti indispensabili per la classe politica, che ha il compito di guidare fuori dalla crisi un Paese sempre più confuso, ignorante e (quindi) povero…
Il risultato finale di La cultura si mangia è un’analisi reale e spietata di un’Italia, che paragonato con altre nazioni europee, come la Francia, dove la cultura crea introiti e indotto grazie ai supporti governativi, e il patrimonio artistico è oggetto di attente cure e puntuali manutenzioni, e dove la cultura è un affare (e che affare!), che ha sprecato molte occasioni, fanalino di coda in Europa, sempre più povero, un paese non al passo coi tempi amministrato da miopi che non riesce a reagire, ad adattarsi a riconquistare pezzi di futuro.
Bruno Arpaia e Pietro Greco ribadiscono, e fanno bene, ridirlo, riscriverlo ce lo fa ricordare che è proprio nella cultura, intesa come conoscenza, educazione, ma anche bellezza (artistica e paesaggistica) e nella sua tutela e valorizzazione, che risiede la nostra identità di Paese Italia e che caratterizza la nostra storia, il nostro modo di essere.
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