
Autore: Alessandro Barbaglia
Pubblicato da Mondadori - Gennaio 2017
Pagine: 163 - Genere: Narrativa Contemporanea
Formato disponibile: Brossura
Collana: Omnibus

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Libero ama le attese per questo non lo spaventa l’idea di aver prenotato un tavolo alla Locanda dell’Ultima Solitudine per dieci anni dopo. E in quella locanda è sicuro di andarci con la sua lei. Quella donna che ancora non ha incontrato ma che dovrà arrivare… basta solo saper aspettare!

Perché Libero, delle attese, amava tutto. Da quando era bambino. Quanti Natali orrendi aveva passato e quante meravigliose notti piene di speranza nell’attenderlo?
Libero vive nella Città Grande, in un appartamento con le pareti dipinte di blu, quasi completamente vuoto. Libero ha imparato a credere nelle attese, con la consapevolezza che quando qualcosa nella vita non arriva è perché non lo si è aspettato abbastanza. Le attese non lo spaventano, per quanto lunghe e apparentemente interminabili possano sembrare a lui non fanno paura. Per questo, in un giorno del luglio 2007, non teme di prenotare un tavolo alla Locanda dell’Ultima Solitudine per il 20 luglio 2017. Dieci anni dopo. È una scommessa fatta con la vita? Forse. Ma è anche la certezza che in quella strana locanda affacciata sul mare, lui andrà con la sua lei, con la donna della sua vita. Quella donna che non ha ancora incontrato, quella donna che potrebbe aver sfiorato senza accorgersene… quella donna che potrebbe non esistere. Ma non per Libero. Lui crede nelle attese e crede che sia sufficiente saper aspettare per ottenere ciò che si cerca.
Ma in questa storia non c’è solo Libero. C’è anche Viola. Anche lei aspetta. Aspetta di trovare il coraggio per andar via dal paese di Bisogno. In quel piccolo lembo di mondo, vive con la madre Margherita che accorda i fiori, perché un “fiore scordato è triste come un ricordo appassito”. Quella di accordare i fiori non è l’unica attività che occupa Margherita. Oltre ai corsi per imparare a piangere e ad avere paura, la donna ha infatti deciso di affittare le stanze della sua casa per consentire alle persone di tornare a urlare. Perché urlare è un modo per star bene, per tornare a essere felici. Ma Viola sente la necessità di andar via da quella vita. Il suo posto non è a Bisogno. Ma trovare il coraggio di lasciare tutto non è facile. Serve un motivo e la forza di perseguirlo. Intanto, alla Locanda dell’Ultima Solitudine, Enrico e l’uomo con i baffi continuano ad apparecchiare l’unico tavolo presente, servendo perle di patate che hanno il gusto “di ciò che si riesce a immaginare”. Nessun posto sembra più adatto per rispondere all’attesa di Libero e, chissà, forse anche a quella di Viola.
La scrittura di Barbaglia scorre via distesa e leggera tra giochi linguistici e una buona dose di spunti surreali. C’è una grande tenerezza nel tocco leggero con cui l’autore accompagna le vicende dei personaggi de La locanda dell’Ultima Solitudine. Vicende che, però, restano come sospese, incapaci di coinvolgere il lettore fino in fondo.
Approfondimento
Questa favola moderna è un inno all’attesa. Siamo abituati a dover correre sempre più velocemente in un mondo in cui il nuovo ha una durata sempre più effimera. Chi di noi avrebbe il coraggio di prenotare un tavolo per una sera da cui lo separano dieci anni? Chi di noi oggi riuscirebbe a credere in un progetto la cui possibile risoluzione porta la data del 2027? Cosa vuol dire credere nelle attese? Vuol dire credere nella vita. Credere nel suo essere imprevedibile ma onesta. Credere che per quanto il cammino possa essere lungo e impervio alla fine la meta esiste. Ed è quella che cercavamo, quella che stavamo aspettando.
Ne La locanda dell’Ultima Solitudine non si aspetta Godot: non si attende chi non arriverà mai. In questa storia chi è capace di aspettare viene premiato: premiato dalla vita!