Ho camminato tanto nella vita, ho vissuto per camminare forse.
Ho fatto poche soste se non quelle giuste, quelle necessarie.
Ho sempre stretto bene la fatica nella morsa del dolore e, quello fisico ti dirò, a volte neanche lo sentò più ora.
Quando hai l’anima giù nel pozzo, una pietra che ti arriva dall’alto non ti fa neanche più male. Sei morto e sei vivo allo stesso tempo.
Sei morto e comprendi che devi solo aspettare che il tuo corpo segua l’anima all’aldilà.
Non arriverai mai a comprendermi amico mio. Mai comprenderai la scomodità della mia scarpa dalla suola consumata. La vita mi ha dato e mi ha preso. Mi ha lasciato il ricordo, e oramai ho perso la ragione.
Perché quel ricordo lo sento.
Vorrebbe uscire. È la mia anima viva, lo capisci amico mio? Sono morto. Morto per i ricordi. Chiudevo gli occhi un tempo e vivevo. Il dolore, la gioia, l’amore, il perdermi e il ritrovarmi. Un tempo sapevo cos’erano. Ora non più.
Mi fermo raramente amico mio, ne deve valere il fiato che butto giù per i polmoni E oggi voglio fermarmi per te. Guardami, cogli con i tuoi occhi l’essenza del pianto silenzioso. Fallo di tutti. Guarda questo straccio d’uomo consumato dal destino della vita.
Mentre mi parlava vedevo la sua disperazione. Vedevo il declino di un uomo, lo sfascio dei sogni.
Vedevo l’esistere della morte.
Reale, cruda, capace del suo mietere.
Non sarei riuscito mai a dipingerlo, non ero in grado.
Avevo paura.
Lo osservavo fronte al suo pianoforte, immobile con lo sguardo a fissare il vuoto.
I suoi occhi raccontavano storie di freddo con finali non giusti,
I suoi occhi erano inorriditi, velati, non riflettevano più la luce.
Tremavo a guardarlo. Avevo paura.
Decisi di dipingerlo di spalle, e lui me ne fu grato.
IL Pianista senza più Mani.
Fu un capolavoro, e il titolo della tela rimase un segreto tra noi.
Cristian Sotgiu