Esiste una Carla Accardi nota ai più, la pittrice trapanese, unica donna del celebre gruppo di artisti Forma 1. Ma esiste anche una Carla Accardi meno convenzionale che è quella dell’impegno in prima persona per il femminismo in Italia. È interessante notare come nell’arte, nella creatività, le donne si siano rifugiate, nei secoli, per cercare un approdo verso la propria emancipazione. La critica Anna Banti, nel 1982, ha dato alle stampe per La Tartaruga un’opera di rara espressione lirica “Quando anche le donne si misero a dipingere” nella quale, partendo dalla biografia di Sofonisba Anguissola e arrivando a Edita Walterowna, ha saldato, in piccola parte, un debito con l’altra metà del cielo che la storia dell’arte ha sempre dimenticato.
La storia delle arti è stata, spesso, avara di narrazioni sulle donne. I libri di storia delle arti, i testi in adozione nelle stesse scuole non citano nomi al femminile, costrette per secoli ad una creatività clandestina, se non ci si avvicina ai tempi recenti. Poche righe sono generalmente concesse ad Artemisia Gentileschi, talento pittorico seicentesco, principalmente per le sue vicende private, a Rosalba Carriera che, nella Venezia del Settecento, firmava “impudicamente” i suoi ritratti e a Berthe Morisot, meglio nota come cognata di Manet. Il National Museum of Women in the arts a Washington, inaugurato nel 1987, rimane ancora oggi un’istituzione espositiva unica, a vocazione internazionale, destinata, esplicitamente, alla valorizzazione dell’arte femminile dal Rinascimento all’età contemporanea.
Sulla condizione femminile dentro e oltre l’arte, Carla Accardi si è espressa con rigore nella sua maturità: nel 1970 ha partecipato, infatti, alla stesura del “Manifesto di rivolta femminile”. Successivamente il dibattito tra l’incontro mancato fra storia, critica e arte al femminile che si sta ricucendo solo in questi tempi e il rapporto irrisolto tra femminismo e immaginario sono stati fra i contenuti toccati dalla pittrice trapanese in un documentario, un dialogo filmato con la studiosa Carla Lonzi, dal titolo “Della Conoscenza”. Nel documentario Accardi e Lonzi discutono, più precisamente, dell’esperienza delle “Nemesiache”, il Manifesto delle femministe napoletane, in cui è stato esplicitamente dichiarato il nodo forte tra emancipazione e creatività. E di emancipazione e di creatività, Carla Accardi ha potuto parlare a pieno titolo, essendo stata, allo stesso tempo, fin dalla giovinezza, una presenza femminile in ascesa dai confini di una realtà geografica e culturalmente periferica e dell’arte, di cui, per coscienza storica e per genere di appartenenza, ha rappresentato involontariamente un anello debole.
Ma Accardi, sostenuta dalla presenza di una famiglia che aveva creduto in lei e che la aveva assecondata nelle sue passioni e nei suoi studi, a soli ventiquattro anni, ha esposto alla Biennale di Venezia e mantenuto, solidamente, negli occhi il colore della sua città, la propria identità. Della sua audace pittura segnica nella quale originariamente emergevano il bianco e nero, essa stessa ha detto “erano i due colori nella salina di mia madre”. Forte delle sue fragilità, la sua provenienza e il suo genere, Carla ha dato vita alla propria virtù: una illimitata creatività illuminante e illuminata, autentica, di una grande voce femminile del sud.