Siamo quasi tutti sacrificabili, non ci sono sedie che non possano essere liberate immediatamente, non c’è un monumento che non possa essere vandalizzato, o frontiere che non possano essere tagliate, non c’è nessuno che possa restare o andare senza un via libera, carte che non possano non essere falsificate, o strade che possano non essere chiuse ufficialmente. Siamo quasi tutti archiviabili, c’è già un cassetto che ci aspetta. Qualcuno ha deciso. Qualcuno può sempre decidere per noi.
Il nostro cuore è nelle lacrime che prendono l’ascensore, ogni volta che qualcuno ci ricorda che facciamo volume ma non contiamo davvero. Che siamo pesanti messi tutti insieme ma non muoviamo gli equilibri del rispetto, dell’amore. Scattano gli indici puntati, come molle impazzite, siamo tutti qui. Destra, sinistra, confini, accordi commerciali, codici penali, le dirette Tv, le scuole chiuse per un giorno. Siamo coinquilini, ci rubiamo l’aria a vicenda. Siamo uomini, qualcuno oggi se ne vergognerà. Non basterà lo sdegno, la reazione, non basteranno le lacrime sui davanzali di Parigi di chi sta a guardare o del mondo qui, che sta ad immaginare.
L’amore è l’unica questione di sicurezza nazionale non presa in considerazione fin dall’inizio. Davanti a questa sfilata di cuori in scala 1:10, a questi marciapiedi macchiati di sangue nell’Occidente come in baracche un po’ lontane dalle televisioni, davanti a questo vortice di parole che però non rispondono alle domande sarebbe giusto cominciare a chiederci chi siamo, chi sono quelli ai piani superiori e quelli che sono a quelli inferiori, ora. Non cambieremo una virgola, ma abbiamo il diritto di chiedere.
Perché soffrire in silenzio è una guerra contro sé stessi.
Il mare, le lacrime del mondo, le ennesime speranze oggi sono a Parigi. Fatti bagnare di vita, Parigi.
Et d’une chanson d’amour, la mer
È una canzone d’amore, il mare
A bercé mon coeur pour la vie
Ha scosso il mio cuore per la vita
(“La mer”, Charles Trenet )