Le dita stropicciate ogni volta prima di scrivere. Scrivere di me. Di che penso. Un fascio di luce giallo folle che spande ombre, le curve delle dita, sui tasti battuti per pietá di raccontarsi. Finché si vive. Il sottofondo di Aprile. L’emotivitá é forte, ed io sono io, e mi conosco. Mi butto giú per qualche ora e poi come se non fosse mai successo. E poi non é mai successo. Maledetto inferno che faccio con i tasti di questa macchina. A quest’ora si dorme.
Sará perché il sonno non ha gran senso, quel sospeso che non ti vien ammazzato da nessuno, e che non vuoi vedere nel tuo domani. Allora, stanco di non fare abbastanza, di fare poco, di fare troppo, di fare meno, almeno fosse, di fare. Stanco dell’abbastanza, del poco come del troppo, del meno e del fosse. La stanchezza del non far niente é piú stancante della stanchezza del far qualcosa. A piangersi si diventa piú bagnati. E bisognerebbe anche saperlo fare. A ridere alleni i muscoli della pancia e ti riempi i polmoni. A far finta di niente, per questo schifo si diventa cinici, fino a bersi la vita col colino. O con il filtro degli altri. Io voglio l’imbuto. Ad ingegnarsi e mobilitarsi ci si impantana subito, e se nessuno é cattivo da fermarti la macchina te la ferma cortesemente l’aumento della benzina. A lottare, a lottare giustamente, ci si sfibra piano piano,e le unghie non escono fuori piú. Con la convinzione puoi spegnerci gli ultimi sogni. Con l’ottimismo puoi andare a comprare, o provare ad accenderli di nuovo. Ma se ti servono interi, non credere troppo e davvero e ostinato, poi si spengono.
Ad aspettare ti giochi il tempo, il futuro che diventa il passato che non volevi con una velocitá che non immaginavi. A rubar la scena di prepotenza, a salire di colpo, ci si gioca la testa sul serio.
Perché quando dovrai scendere, a corsa finita, e arriverá lo sai anche se hai pagato tanto il biglietto, non riuscirai piú a scendere dov’eri, ad adeguarti, a farti due passi modesti fuori dalle luci delle boutique. A prenderti il bus senza il biglietto.
Ma si sa l’uomo é stupido, e forse rappresento la categoria pienamente e rientro nella media, di quella maggioranza assoluta di sempliciotti alla vita.
E allora? Sapete che vi dico? Che anche se della vita ci ho capito solo quello di cui ho avuto la fortuna, tutti i rimasugli, i nodi al pettine e al fazzoletto, mi dicono che é assolutamente necessario far finta di niente, ingegnarsi e mobilitarsi il cervellino, a volte mollare, poi lottare, essere ottimisti e convincersi, aspettare un bel niente o qualcosa, rubarti la scena di prepotenza finché c’é e poi renderla. Stancarsi? Sí, stancarsi e lamentarsi sulla stanchezza. Dire cose stupide e perdonarsi per averle dette.
Far uscire l’emotivitá da qualche parte del viso. Fare il contrario di quello che é solito o pensare il contrario di quello che si fa. O non pensare. Non sempre la cosa piú razionale é la migliore. E se fosse? Vuoi dirmi che hai intenzione di fare sempre la cosa migliore nel “tutto vita”? Di cose che seguono un percorso sensato ce ne sono poche, e tutti si stancano a seguirle e portano giá dove sai.
Non sono un libro. Non sono un film. Non sono una canzone. Mi porto dove voglio io e se non voglio resto qua. Non mi sfogli, non mi canti, non mi infili nel videoregistratore. Non infilarti neanche tu. Barcolliamo, sí ma ci siamo passati tutti. Cantare da stonati, guidare senza patente, scrivere senza essere scrittori, fare una gaffe davanti a tutti, prendere la mano alla persona sbagliata, ascoltare solo per riempire le orecchie, sentire solo per riempire i timpani del cuore, sprecare gli ultimi spiccioli per uno zucchero filato, cercarsi i vecchi sapori delle cose, fregarsi delle lancette e della sveglia e dell’agenda e del televideo, parlare senza essere nessuno, staccare il telefono, essere quel poco senza parlare, imparare senza dover subito rifare, volersi bene da difettosi.
E se trovi dove sbarcare il lunario, saró felice per te, per te, per la tua ricetta, per te, per la tua incredibile fortunaccia, per te, perché vivi.
E se tu ed io siamo la stessa persona allora, queste dita che battono sui tasti avranno capito qualcosa in piú. Qualcosa in piú di te.