C’è un destino, non conta molto se i compiti li fai sempre o provi a recuperare alla fine. C’è un destino, un nastro trasportatore se ti va bene, un ascensore se ti va male. È colpa mia, dici, avvicinati fammi sentire se hai bevuto.
<<Bambina…>>
<<Non chiamarmi bambina, l’umano più maturo fra noi due sono io>>.
<<Sì, senti, dicevo solo per dire>>.
<<È una sceneggiatura>>.
<<Esatto, fammela finire>>.
<<Vediamo se sei bravo anche fuori dalla tua mega chat>>.
Questa ha capito tutto. Non di me, ma del sistema di cui faccio parte. I maschi. Siamo tutti uguali, tutti capi di niente, tutti proprietari sulla carta di cose libere, tutti diversi, abbiamo tutti bisogno delle stesse tre cose. Dei gemelli dizigoti, siamo. Ma devo dirti una cosa veloce veloce. Aspetta, un tiro e son pronto. L’ascensore del destino per me è partito. Aspetto che si fermi al mio piano.
<<C’è scritto 21 gradi>>.
<<E quindi?>>.
<<L’hai bevuto?>>.
<<Non credo, non dovevi dirmi una cosa veloce?>>.
<<Non sono ventuno, questo amaro al massimo avrà dieci gradi. Mediocri. Ci stanno mentendo>>.
<<Stanno mentendo a te. Per quanto mi riguarda non interessa. Ti stanno facendo un favore>>.
<<Non capisci, ci mentono su tutto, cambiano i nomi alle cose per rifilarcele più facilmente. Gli ingredienti nei cibi, le manovre finanziarie, le riforme tutte in inglese, l’euro, il terrore al supermarket ripreso al tg delle 14. Non ti accorgi che è tutto così user friendly? Pronto per essere preso, non capito>>.
<<Adesso calmati e dimmi quello che devi. Poi vai.>>
<<Ma questa è anche casa mia>>.
<<Era>>.
<<Bambina, non farmi incazzare>>.
<<Devo chiamare qualcuno per farti ritirare o ce la fai da solo a spostare il fondoschiena dal divano a penisola comprato con il mio ultimo stipendio?>>
<<Senti, bambina, volevo solo dirti che non è così come sembra. C’è un destino sbeccato, uno che vogliamo e uno che rifiutiamo e uno che accettiamo. Sembrano tre. C’è un destino sbeccato, non sarà mai perfetto, per colpa delle mie chat, delle tue assenze, dei negozi che vendono bottiglie di veleni fino a tarda ora, per colpa delle tue gelosie, per colpa di quelle tette incontenibili, c’è un destino sbeccato, capisci. Ma funziona. È nostro. È ancora in garanzia, possiamo cambiarlo e farci mentire ancora dal prossimo che ci capita. O possiamo essere noi, senza mentire, senza cambiare i nomi alle cose.>>
<<Gran bel discorso, bastava ascoltarti per avere la conferma di quel che sei. Ma di cosa ti sei fatto stavolta?>>
<<Niente, bambina. Ho solo pensato… Legami con uno di quei nodi da marinaio e non lasciarmi andare>>.
<<Sei il cazzone che sei sempre stato, il destino con me non l’hai guadagnato>>.
<<Sono il cazzone che ti ama, e tu invece sei la regolare, una tipa responsabile che amare non lo sa fare>>.
<<Sei solo come un altro, a che servirebbe imparare?>>.
<<Sì, mi hanno avvisato. Ma in due è più facile raccogliere i pezzi, scegliere. Occupare lo stesso destino quasi per sbaglio, festeggiare l’imperfetto. Che ti frega? Guardami davvero, con gli occhi che vogliono sapere, sputa per terra il veleno, fatti prendere una mano>>.
<<Ma che dici?>>
<<Sarà attesa. Bellissimo destino sbeccato. Per quel che sopravvive di noi. Bambina>>
<<Hai due minuti per andartene. Sono stata chiara? Hai scelto il giorno sbagliato per svegliarti o per la tua commedia, quello che è. Via. Non ti voglio più sentire. Non ho voglia di giocare.>>
<<Ma bambina va bene, l’ascensore sta arrivando e scendo. Qualcuno te lo doveva dire che il destino si fa anche scegliere. Pensavo di essere io quel destino.>>
<<Tu?>>
<<Mi hai sbeccato>>.
<<Vai!>>
<<Lo vedi…>>
<<Gran bel discorso però>>.
Bambina. Bambino. Mediocri. Milano, Ottobre 2015. Si stanno mentendo. Si stanno incazzando. È sempre colpa del destino sbeccato.