Quando stai per partire senti che le cose lì cominciano a non appartenerti più, quando stai per partire ti chiedi com’è pensare a me senza diversivi, come sarebbe la vita tutta dritta senza condizionale. Ti chiedi quanto dovrà essere alta la puntata e la vincita per colmare questo bel vuoto esistenziale. Quando stai per spegnere l’ultima luce e devi smettere di stendere lo smalto al tempo, che tanto si sbecca comunque, ti chiedi se questi desideri siano davvero necessari e le lacrime davvero utili. Se sia possibile incollare al posto giusto le parole tagliate col tasto destro dalla mia bocca.
Quando chiudi l’ultima porta e apri la prima prossima porta e non mi vieni a cercare perché farebbe troppo male aggiungere una sedia e mettersi a sognare da innocenti, da bambini. Quando pensi che al tuo modello dovrebbero aggiungere i sensori di parcheggio per potersi muovere tra la gente senza fare danni.
Quando chiudi il telefono e ti rendi conto che la pagheremo, la sincerità in ritardo, e le che le cose belle dette con gli avanzi dell’entusiasmo erano solo per coprire questo strano umore.
Quando eri già in viaggio a farti offrire snack su carrelli metallici e nessuno sapeva calmarti perché sembravi calmissima e invece eri solo scivolosa, senza appigli per qualcuno che fosse uno, ma testarda e infuriata e disperata. Già intenta a contare i pezzi.
Quando eri quasi arrivata e mi ero già preparato a conoscerti e a perderti. A dirti “ho carezzato plastica tutta la vita, ora voglio te”. È stato, quand’è che è stato? Una di quelle volte che ho esagerato a immaginare, come se la più splendida calamità naturale del pianeta si potesse prenotare e convincere. Guarda sono qui, devastami se devi ma passa un attimo di qua. Ho il conto delle sincerità in ritardo nascosto sotto la felpa, nascondiamo tutto. Abbassiamo gli occhi fino a chiuderli. E niente più plastica.