E´la vigilia di natale 2012, non penso a niente, no che non penso a niente, di spettacolare, di serio, di promettente. Parlo come mangio, leggo, sfuggo dall´inevitabile, mi rimpicciolisco in attesa dei trent´anni, in attesa di me. Sono forse un maybelievers del futuro, (sí questa parola l´ho inventata io e precorre i tempi) sí uno che in fondo crede. Forse. E alle volte si perde. E non crede piú. Per ricominciare.
Gli sguardi parlano. Vogliono farlo. Ne hanno bisogno. Tutti gli sguardi del pianeta. E io l’ho capito. Questa è la mia malleabile fortuna, la mia innata capacità, il mio solo sacro segreto. Il mio finto lavoro.
Naturalmente come e quando ho iniziato non ha importanza. Sono stato indubbiamente il primo e sarò l’ultimo ad aver fissato così tanto sfrecciare e frenare i vagoni interminabili di questa metro Art Nouveau degli anni novanta e duemila e le sue persone annoiate, indaffarate, spaventate, sole, vive, morte. Averle conosciute segretamente, inseguite nella notte sulle boulevards dei ritorni, annotato ogni gesto, ogni particolare modo di guardare le cose, anticipato il loro primo pensiero al mattino. L’odore della città accompagna i miei viaggi silenziosi, quelle dure rincorse alla realtà del giorno che per qualcuno è festa e per qualcun altro è guaio. Ho scorso gli occhi degli amici, dei parenti, dei nemici, dei lavoratori, dei compagni, delle amanti. Io non ricordo che occhi avevi, che avevate, ricordo cosa c´era dentro. Ricordo cosa ha mosso in me, ricordo il perché. E ho visto altri maybelievers su questa terra. Gli sguardi parlano. Sempre. Per chi sa vedere. Oltre.
E io sono qua in parte sconfitto da me stesso e dal mio ieri a prendermela in anticipo con il futuro. Perché non si puó andare a prendere le persone dipinte di invisibile, quelle non pervenute, quelle che la bassa marea si é portate via dal bagnasciuga fermo immagine difettoso. Allora ti licenzio, vi licenzio dai pensieri che forse non meritate e ricomincio. Ricomincio a credere. Un po´meno forte, di un po´meno sorriso, per il trapassato remoto, lacerando sogni inverosimili.
Ma vivo e mi dimeno in questo mucchio, in questo spazio di tutti e di nessuno, fallito sporco crudele provvisorio. E sento l´alito della vita, dell´amore, che forse non mi prenderá in pieno ma mi sfiorerá soffiarmi dentro le vene piú forte di queste tristezze. Facciamo che vado avanti senza aiuto del pubblico, facciamo che esprimeró desideri irrazionali, facciamo che mi prendo addosso e dentro la vita e per ora la chiameró felicitá.