Era da un po’ che non parlavo di cose del genere. Quando si scrive per un blog, che sia il tuo o meno, si ha sempre la “paura” di scrivere cose troppo personali, di sconfinare e rendersi quasi ridicoli. Perché certe cose, belle o brutte, hanno il loro valore se restano nella nostra dimensione. Piccola dimensione. Oggi non parlo di te e me, o di lui e lei. Dell’impiegato, del banchiere, dell’operaio, della casalinga, del fotografo. Parlo di questa situazione surreale in cui siamo tutti inghiottiti in un sol boccone e che non son in grado di accettare. Comprendere forse, ma non accettare.
Non parlo di comunicare, cosa ben più profonda. No, noi non sappiamo neanche più parlarci. Eppure la rete, la tecnologia, l’esperienza che qualcuno chiama evoluzione, ci ha avvicinato con le strade, ci ha confrontato in tempo reale con i telefoni e le chat. Un’immagine impressa e sei dovunque per una persona, per le persone che ti aspettano. Non facciamocelo bastare. Tutto farebbe supporre che dall’ultimo secolo ad oggi le persone si siano evolute di pari passo anche nelle relazioni umane e quindi anche nel parlare. Invece, la tecnologia è andata più veloce. Maledettamente. Tanto che le nostre informazioni girano nei cavi di fibra ottica e nelle cabine dell’ultimo miglio di Telecom Italia e le cose veniamo a saperle rimbalzate dalle bacheche di Facebook, dai tweet, dal pettegolezzo del conoscente.
Abbiamo mai imparato a parlare? O ci siamo limitati a dimenticarci come si fa? E soprattutto perché la situazione è questa? La ragione più plausibile che ho trovato è che non lo sappiamo fare perché non ci siamo messi alla prova. E questo perché non vogliamo farlo. A sua volta dietro questa negazione esiste la paura. Io non sono un filosofo, un medico, uno studioso di psicologia, però ho capito che dove l’uomo ha paura si nega, a fronte di costi elevati, spesso.
Uno di questi è l’isolamento dalle forme di confronto, con relativo sacrificio di libertà, sui temi davvero importanti che lo riguardano. Non parlo di politica, delle riunioni di condominio. Parlo dei sentimenti, degli stati d’animo, dei motivi profondi che tutti abbiamo.
Abbiamo paura. Abbiamo paura di dover ammettere che siamo un tantino fragili anche noi, che nascondiamo anche noi volentieri le nostre debolezze che costringono la nostra vita in certe direzioni che forse non vorremmo. Abbiamo paura di dire che abbiamo sbagliato, forse fin dall’inizio, e abbiamo bisogno di rinnovare quel microcosmo che ci appartiene.
Forse abbiamo paura di ammettere che non siamo sempre stati all’altezza dei nostri valori, e che addirittura alcuni di questi nemmeno sempre li abbiamo avuti. Abbiamo paura di dire che siamo senza progetto o che abbiamo la serratura e a mancarci è la chiave. Abbiamo paura di dire che non sappiamo, forse per la prima volta.
Abbiamo paura di dire la verità, tutta la verità a chi se la merita, perché prima dovremmo raccontarcela noi.
Non sappiamo più parlarci e attendere la risposta degli occhi. Non sappiamo più parlarci perché quello che succede agli altri è sempre meno importante di quello che succede a noi e parlare vuol dire anche ascoltare. Anche ascoltare è paura. Paura che le parole ufficializzino qualcosa che secondo noi deve continuare a stare in cantina. Paura che qualcuno ci dica che le cose possono essere fatte in un modo diverso, in un modo sai, magari…giusto.
Abbiamo paura di essere un po’ più noi. Perché ci accorgeremmo parlandoci tutti. Il silenzio non facciamocelo bastare.
Non sappiamo più parlarci, e ci farebbe bene, anche quando ci farebbe male.