Notte stellata pianta da acqua che bagna acqua, sconvolta da massi di nuvole che reggono. Che tengono. Che nascondono. Ti prendi il tempo per vivere ora, ora che è la mezzanotte. Apparecchi i pensieri su una tovaglia americana. Una colazione anticipata di brividi persi. I polsi dicono che sei stanca. Pensi a quale dei cuori accendere. Se tornare ad averne. O se tornare a bruciare gli incubi, tornare a osservare il microonde cedendo alla periferia dei tuoi pensieri dove dai retta a cose docilmente perdute. Agosto e maledetta la pioggia negli occhi. Ogni giorno, cambi, e non ti specchi nei ricordi. Muori e risorgi. Ti ammazzi e ritorni. Nascondi gli album delle foto ed i progetti. Stringi i vestiti, abbassi le tonsille, ricuci le labbra. Ristrutturi le unghie, disinneschi i sorrisi e ti prepari a lungo a non spiegare.
Suderemo su queste notti stese, fradice sbiadite a dirotto, storte che non dicono i perché. Mancano gli aggettivi. Mancano le mani che si arrampicano. Mancano le tende di palpebre semi stupite e stanche e per niente perse. Manca il tanto imbarazzo da essere in doppia fila. Manca il gettone da far schizzare come una volta dentro il telefono per scaldarsi l’orecchio destro con voce amica. Nuvole. Quartieri che non hanno niente da dire. Spiagge crepate da gocce. Cassonetti puzzolenti rinfrescati e condomini mal abitati. Futuri inverosimili. Corrente che non serve ai progetti scadenti. Aspettiamo l’inconveniente per sbatterci addosso, e odiarci con l’anima o amarci con riserva. Aspettiamo di nascondere gli occhi con gli occhiali fumé per sentirci meno inosservati. Per sentirci più scoperti. Aspettiamo le sciarpe colorate per impiccare le parole dolci imprestate e poi inusate. Decidiamo di lasciare una scia di profumo sopra le mattonelle condivise. Perché non si sa mai. E non ci prende che l’ansia dei pugni alle persone, all’aria, non dati. L’ansia delle cose da non aver voluto vedere. Ci sentiremo naufraghi in queste pozzanghere di cose non capite e taciute ma immaginate. E torneremo senza essere davvero partiti. E lasceremo che la televisione ci parli dell’amore. Che un francobollo di una lettera in una scatola ce lo spieghi. Lasceremo alle riviste il compito di impegnare occhi che non sanno dove posarsi. Lasceremo che la busta paga ci dica cosa possiamo fare. Calcheremo disorientati marciapiedi di quartieri inutili senza trovare il sonno.
Buttiamo il sonno sulle rotaie mentre passa l’intercity vecchio sgualcito, bagnamo i polpastrelli con la condensa di tutta una sera persa. Sgoleremo i nostri cuori e li strozzeremo al limite per non far sentire. E ci ruberemo il tempo, lentamente, ogni giorno, per non pensare che abbandonarsi sono guerre da non iniziare. Notti stese, fradice sbiadite a dirotto, storte da non iniziare.