Autore: Håkan Nesser
Pubblicato da Guanda - Ottobre 2013
Pagine: 446 - Genere: Thriller
Formato disponibile: Brossura
Collana: Narratori della fenice
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Un’idilliaca casa nel bosco, un uomo di sessant’anni, una ragazza di vent’anni, una grossa vincita e il ritrovamento di un cadavere. Questi gli ingredienti di un giallo strepitoso che al mistero delle indagini unisce il mistero dell’animo umano e l’insoddisfazione personale e familiare.
Ante Valdemar Roos è un uomo di sessant’anni insoddisfatto della vita e del suo rapporto con la moglie, Alice Ekman Roos. Non si sente capito da nessuno e tutti quelli che lo circondano, specialmente le figlie di lei, lo considerano un fallito.
Un giorno vince una piccola fortuna grazie a una schedina giocata, così decide di non dire nulla a nessuno e di comprarsi una casetta nel bosco idilliaca, in cui si costruisce una seconda vita. Conosce Anna Gambowska, una ragazza di vent’anni fuggita da un centro di recupero per tossicodipendenti e che, con chitarra e zaino in spalla, gira senza meta, fino a quando si imbatte nella casetta nel bosco.
A un certo punto però Ante non torna a casa e la moglie Alice chiede all’ispettore Gunnar Barbarotti di indagare. Il caso sembra semplice, fino a quando però non compare un cadavere.
Non gli importava se il carro attrezzi tardava. Non lo disturbava che Red Cow telefonasse per chiedergli se per caso non si fosse dato alla macchia. Non sentiva alcun bisogno di parlare con sua moglie né con nessun altro essere umano.
Avrei dovuto nascere gatto, aveva pensato Ante Valdemar Roos. Sì, porca miseria, un bel gattone acciambellato al sole sul pendio dietro una stella, quello sì che sarebbe stato bello, ecco.
Da queste semplici parole, che più che una descrizione sono poesia, si riesce a capire perfettamente quale sia lo stato d’animo ed emotivo di Ante. Håkan Nesser, infatti, riesce a trasmettere tutta la spossatezza, l’insoddisfazione, la malinconia e l’infelicità del protagonista, facendoli provare in prima persona al nostro animo grazie a questa metafora poetica, ma molto incisiva e profonda, distruggendoci subito e in questo modo legandoci al protagonista.
Era un pianto positivo, volto a curare anche se sgorgava da un grande dolore.
Non era la prima volta che pensava alla sua anima in quei termini. Come una povera pianticella che aveva bisogno di essere bagnata e nutrita per riuscire a farcela. Per crescere e andare a occupare il suo posto in questo mondo arido e inospitale. Ma quando la vita diventava troppo difficile, era meglio tenerla nascosta là sotto, nella terra gelata, fingendo che nemmeno esistesse.
L’anima nella terra gelata. Oppure il contrario, la terra gelata nell’anima, si poteva dire anche così, e pareva un esercizio di ortografia delle medie.
Anche per il secondo personaggio protagonista, Anna Gambowska, si può notare una presentazione poetica, ma molto complessa, che trasmette perfettamente al cuore del lettore il dolore che prova. Un dolore profondo che la porta a cercare sollievo nella droga pur di non sentirlo, ma senza trovare, ovviamente, un rimedio. Un dolore che la porta a nascondere la sua anima fino a dimenticarsene e trasformarsi in un guscio vuoto. Dolore che sentiamo nostro legandoci a lei a doppio filo.
La vittima giaceva dietro la cantina interrata, proprio al margine del bosco ma abbastanza ben visibile a chiunque fosse entrato nella piccola proprietà. Un uomo giovane sui venti, trent’anni, all’apparenza, ma siccome diversi animali del bosco avevano banchettato con la sua faccia era difficile valutare in maniera più precisa. In ogni caso era steso sulla schiena, le braccia lungo i fianchi, e anche se forse si poteva discutere su come fosse morto, il sangue seccato che gli copriva la giacca celeste chiaro, più o meno dall’ombelico fino ai capezzoli, forniva un’indicazione abbastanza precisa. A quanto pareva, gli animali avevano banchettato anche in quel punto, e quando l’ispettore Barbarotti cercò di esaminarlo un po’ più da vicino per la seconda volta, non ebbe nessuna difficoltà a capire perché Espen Lund si fosse fatto pallido e taciturno.
Si può notare come anche nelle scene più crude, pur usando delle descrizioni molto evocative, che sanno far creare al lettore immagini molto ben definite, lo stile di L’uomo con due vite sia comunque molto delicato. Ovviamente qui si nota la mancanza di poeticità, che sarebbe stata fuori luogo, ma permette anche a chi è debole di stomaco di potersi gustare il romanzo e partecipare completamente alla storia senza risentirne.
Approfondimento
L’uomo con due vite è un romanzo giallo svedese completamente fuori dal comune, che riesce a conquistarci grazie allo stile poetico, leggero e delicato dell’autore, che arriva nel profondo dell’anima creando un legame empatico tra romanzo e lettore.
Il tempo narrativo è molto cadenzato ma non lento, pur mantenendo il classico ritmo tranquillo della narrativa scandinava.
Toccante, intrigante e molto profondo sa come stupirci e rapirci.
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