Ce l’ho con la vita, prendo a calci le foglie di questo viale, di quest’autunno. Un saltello e tornano a terra. Una raffica mi ricorda che lei, lei è più grande di me, e può fregarsene di chi le disturba l’autunno.
Ne alza cento, forse mille, per aria. Rigustano un angolo di cielo sono grandi, abbrustolite dal gelo, sono forti, sulla mia giacca, incastrate sulla sciarpa, sempre morte. Gli alberi non spendono la compagnia. Parlano parlano che si riparlano tra loro ma è sempre un tirchio silenzio.
Vorrei stringermi il mio vero futuro, di rabbia e d’affetto, saper che faccia ha, e cosa c’entra col resto degli altri futuri. Me lo voglio rimproverare per il ritardo, coccolare, nascondere, fino alla fine dei miei calendari.Anche quando ci riderò sopra. Quando gli mostrerò i denti. Quando mi ci struggerò sopra. Quando tornerà a ridermi sopra e sarò il suo trascurabile. Quando andrà avanti da solo e tornerò indietro da solo.
Se posso far centro anche senza freccette o mitra di plastica. Stringermi il mio briciolo di vero in un mondo illuminato da Luna Park.
Perché adesso è rasentarla a non bastarmi, perdersi nelle folate del mistero nei rami bagnati e spogli del banale. Vado giù e lo sento, nessuno mi prende, scendo giù al ritmo del mio cuore disilluso, sprofondo, forse perché son troppo solo e cattivo e chiedo come tutti, senza volerla pagar cara la vita mentre prendo a calci le foglie di questo viale, di questo autunno. Risalgo su. È un attimo. Un ottovolante. Una vita piena di giri della morte. Ma senti.
Tra le curve, al mondo non ci sono più buoni. Ci sono gli ultimi. Io sono l’ultimo dell’ultimo a uscire dal tubicino di dentifricio, l’ultimo del tuo barattolo di gelatina, l’ultimo del tuo bagnoschiuma preferito. L’ultima goccia di benzina che finisce fuori dal serbatoio. L’ultimo grido di un muto. L’ultima ottava nota.
Sai che di buoni davvero non ce n’è più. Di bambini sinceri e grandi, solo bambini sempre più grandi e meno sinceri. Ora buoni e finti cattivi stanno dalla stessa parte. Hanno rimesso le unghie dentro loro. E stanno tutti dalla parte degli ultimi. Di quelli che lo sanno e di quelli che fan finta di star davanti. Quelli che si sentono l’ultimo dell’ultimo a uscire con fatica dal tubicino del dentifricio. L’ultima goccia chimica di un bagnoschiuma preferito che si chiude sul fondo e non esce neanche capovolta e sotto pressione. L’ultimo singhiozzo di un serbatoio che non sa più cosa siano gli ottani. L’ultima disperazione del giorno che non si sa a chi raccontare o non si sa perché dovrebbe spezzare il cuore.
Stiamo dalla stessa parte ma non lo vogliamo. Cerchiamo ancora di emergere come se fossimo speciali e non in una serie numerata uscita di fabbrica di venerdì sera mentre gli operai pensavano al sabato da passare con le mogli. Quelli che fanno finta di stare davanti. Fanno partiti, circoli, associazioni, circoscrizioni, cooperative, gruppi, bandiere e cori per cambiare il mondo. Ma neanche la famiglia riescono a gestire, educare, amare.
Ancora un po’ e continuano a dividere il mondo in altre nazioni. Perché si vogliono diversi. Superiori. Noi li assecondiamo e facciamo sta moneta unica. L’euro. Così sembra che siamo uniti. Della legge del mercato e dell’economia non ci capiamo niente ma che il pane lo paghiamo il doppio questo sì. Malediciamo in silenzio il portafoglio scarso e quel 2001. Chi bello vuol apparire deve pur soffrire.
Paghiamo a rate tutto quello che possiamo ostentare agli occhi del vicino. Quelle che iniziano a gennaio dell’anno prossimo, che non c’importa l’interesse TAN e TAEG, e che non sappiamo ancora se potremo pagare. Siamo qualcuno per chi ci prende l’affitto e ci manda le lettere già preaffrancate. Per chi ci trattiene i soldi in busta paga prima che ci arrivino promettendoci una bugia: li riavremo dopo i sessantacinque anni d’età. Siamo qualcuno per la nostra famiglia. Lì non siamo gli ultimi.
Ma in fondo ognuno deve arrangiarsi come può. E in certi angoli bui non può arrivarci nessuno, se non noi stessi.
Sai cosa ti dico? Non ce l’ho più con la vita. Ho già fatto pace. Tempo di scrivere le righe precedenti. Il tempo è il tempo. Noi siamo noi. Noi e il tempo siamo la storia. La storia va fatta impazzare e va tenuta forte. A briglia sciolte con un briciolo di pazzia e determinazione.
Il mio vero futuro è ogni giorno. Perché le sicurezze non esistono più. Ed i sogni son sempre più come la teoria della relatività. Belli e impossibili da realizzare neanche implosi in un maledetto laboratorio. Aspiro l’aria delle foglie. Scopro ogni giorno, ogni giorno mi contento. Curioso di tutto e poi di tutto rassegnato. Cancello la lavagna e la riscrivo. Ci vuole pazienza. Ma ci si sente veri.Con più leggerezza.
So di essere sulla frontiera, in una terra di nessuno. Non sarà la mia. Non avrò niente da cui sarà impossibile separarsi. Nessuno si preoccuperà, mi vorrà, mi dimenticherà. Mi piace questa cosa.
Mentre il signore con l’abito Cavalli suona il clacson della sua nave a quattroruote e guarda il polso sentendo di perdere tempo per il traffico, io che sono l’ultimo degli ultimi lo sono anche come perditempo. E lo ignoro, anche se passa. So di non perdere nulla. Non cambia la mia vita, non cambia le cose importanti della mia vita, né l’ordine che ho loro assegnato. Al mio abito si è staccata l’etichetta e la mia macchina è una scialuppa a quattroruote. E non cambieranno neppure loro.
È un attimo. Un ottovolante. Una vita piena di giri della morte. Ma senti.
Prenditi quest’attimo fin a che puoi, stato di senza parole, goditi il tuo briciolo di vero e stammi bene in vita.