Autore: Stefania Bertola
Pubblicato da Tea - 2006
Pagine: 237 - Genere: Narrativa rosa
Formato disponibile: Brossura
Collana: Teadue
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Il romanzo racconta l'intrecciarsi delle vicende di due sorelle trentenni, un giovane architetto donnaiolo, un imprenditore abbandonato dalla moglie indiana e una donna con tre figlie, lasciata dal marito, professore universitario, per una studentessa. Elemento comune ai personaggi è la villa sulla collina torinese, dove vivono.
Biscotti e sospetti di Stefania Bertola è la prova che libri leggeri, ma non banali e superficiali, possono esistere, e meritano un riconoscimento da parte del pubblico. Dopo le prime pagine, in cui ci si orienta a fatica tra i molti personaggi creati dall’autrice, il lettore è catturato nel vivo della storia. Caterina e Violetta, due sorelle molto diverse tra loro, una ambiziosa e razionale, l’altra sempre impegnata in lavori diversi e alla ricerca dell’ “ape dell’amore”, si trasferiscono in un piccolo appartamento in una villa sulla collina di Torino, e stringono amicizia con gli altri inquilini, aiutandosi tra loro e interferendo nelle rispettive vicende. Ci sono Emanuele, imprenditore che viene improvvisamente abbandonato dalla moglie indiana conosciuta da soli due mesi, Mattia, architetto dotato di spiccato cattivo gusto che, pur passando da una donna all’altra, non smette di pensare a Violetta. E poi Rebecca che, sola con tra figlie, si guadagna da vivere traducendo romanzi improbabili e, soprattutto, facendo la cartomante.
Violetta si ritrova, da un giorno all’altro, a voler comprare la libreria del centro dove lavora; Emanuele vuole a tutti i costi ritrovare la moglie, e verrà aiutato da Caterina, innamorata di lui, e Rebecca dovrà gestire il rapporto dell’ex marito e la sua nuova, improbabile compagna. A far da sfondo alla vicenda c’è non solo la città di Torino ma anche, e soprattutto, i Torinesi, di cui Stefania Bertola mostra, con acuta e dissacrante ironia, le abitudini, le convinzioni, le ipocrisie. É proprio l’alta società torinese, quella “della collina” che Bertola descrive con acume, mettendo in luce falsità e piccoli peccati di una “società dell’apparenza”. Chi conosce bene la città e i suoi abitanti, non può che ritrovarsi a sorridere delle macchiette tratteggiate dall’autrice – che non diventano mai espressione di grottesco o di cattivo gusto – e insieme immaginarsi facilmente le vie in cui si svolgono i fatti raccontati.
A proposito dei personaggi, Bertola ci dice solo l’essenziale: caratteristiche fisiche e vissuto precedente. Lascia che siamo noi a farci un’idea su di loro, a conoscerli man mano che il racconto prosegue. Fulcro della storia è la ricerca, da parte di Emanuele e Caterina, di Parvati, la moglie indiana di Emanuele: ricerca che sembra condurre i protagonisti a Modena, o addirittura in Mozambico, e si interrompe invece a Moncalieri, a pochi chilometri dal centro di Torino. Attorno a questo nucleo centrale ruotano le storie di Violetta, che vorrebbe sposarsi perché ha l’età giusta, del suo fidanzato, che forse vorrebbe metter su famiglia, o forse no, e di Rebecca, che non rivuole assolutamente a casa l’ex marito, Davide. Oppure sì? L’elemento che rende il romanzo davvero godibile e quindi apprezzabile è il tono del racconto. Stefania Bertola fa abbondante e intelligente uso dell’ironia, sia nel raccontare le vicende sia nel descrivere il carattere e i comportamenti dei personaggi, senza mai eccedere
Inserisce citazioni simpatiche, dal Cantico di un pastore errante nell’Asia a Topolino: le tre figlie di Rebecca si chiamano Eli, Emi ed Evi, come le nipotine di Paperina. In parecchi passaggi ci si ritrova a ridere di gusto, grazie a questa scrittura fresca e spiritosa, opera di un’autrice che sembra non prendersi troppo sul serio. Infatti, l’ironia sembra talvolta cedere il passo all’autoironia, difficile da incontrare in un romanzo. I personaggi, infatti, non sono contraddistinti da particolare cultura o, addirittura, acume: del resto, sono i protagonisti di un romanzo leggero, frizzante, non di un capolavoro della letteratura. L’uso della grammatica è sempre perfetto. Ma quando è la commessa un po’ rozza a parlare… ecco scattare l’uso dell’imperfetto al posto del congiuntivo.
L’autrice sembra davvero strizzare l’occhio al lettore, con il quale costruisce un rapporto quasi di complicità. É una lettura di svago, ma non una perdita di tempo. E può aprire la porta a una più ampia riflessione sulla letteratura di consumo, troppo spesso giudicata banale. E, soprattutto, invoglia a leggere altri romanzi della Bertola.