Pac è un uomo cinico e astuto con un soprannome da videogioco. Pac è anche e soprattutto un promotore finanziario che, inviato nei paesi più poveri e ignorati del pianeta, colleziona truffe ai danni di tutte quelle imprese che potrebbero intaccare, in un futuro non troppo lontano, l’economia globale. Tra le altre cose, Pac è convinto che l’Apocalisse sia imminente e confida nel vimana, termine che in sanscrito significa sia “uccello” o “volare” che “luogo abitato creato artificialmente”. Il termine vimana, nel nostro contesto, significa invece “navicella spaziale” ed è esattamente tutto ciò di cui Pac ha bisogno per poter, un domani, levare le tende dal pianeta Terra, atterrare sulla Luna e scampare all’Apocalisse. Per costruire un vimana, tuttavia, ha bisogno di materiali, strumenti e sostanze chimiche che non può certo procurarsi da solo ed è per questo motivo che conosce Samuel. Oltre a portare su di sé le tracce di una passata sofferenza e le cicatrici dei tagli sui polsi, Samuel è un ragazzo dalle idee confuse che continua a proclamarsi un dio reincarnato. Rapito da ribelli maoisti in Nepal, costringerà Pac a recuperarlo e s’instaurerà tra i due un rapporto insolito che somiglia lontanamente all’amicizia e che rispecchia la disperazione e l’urgenza di un’umanità giunta ormai agli sgoccioli del suo tempo.
Ciò che emerge, nel corso della lettura, è innanzitutto la passione e la dedizione con le quali Fabio Casto si è documentato per poter affrontare con sicurezza temi, problematiche, tradizioni decisamente lontani dalla nostra cultura popolare.
Interessanti sono le descrizioni dei paesaggi, talmente plastiche e realistiche da dare al lettore l’impressione di trovarsi proprio lì, tra i monti del Nepal, a patire il freddo e la solitudine. La capacità descrittiva, che è sicuramente un grande pregio, si tramuta talvolta in difetto quando l’autore, lasciandosi trascinare dal suo stesso scrivere, si perde in dettagli superflui o metafore forzate che sfiorano i limiti del contorto.
Il romanzo risulta, nell’insieme, ostico, forse troppo carico di informazioni e decisamente adatto ad un pubblico “di nicchia”, composto da lettori aventi la passione, la capacità di concentrazione e la pazienza necessarie per seguire l’autore a prescindere dalla tortuosità del percorso e raggiungere insieme l’ultima pagina, col suo finale alla Lars Von Trier.
Di contro, è pregevole l’approfondimento psicologico del personaggio di Pac, apparentemente cinico e senza scrupoli e pur tuttavia sufficientemente umano da lasciarsi sconvolgere dallo sguardo di un bambino, da un pranzo condiviso con le stesse persone delle quali sta decretando il fallimento.
E poi c’è la fame, una costante fame fisica e reale che diventa metafora di un bisogno più grande, della necessità di trovare se stessi in un mondo pericolosamente vicino alla distruzione. Pac spera nel vimana, è disposto a tutto pur di garantirsi un posto sullo Star Pac che lo porterà in salvo e, in tutto questo, è quasi completamente solo. Fatta eccezione per il rapporto amichevole, seppur ambiguo, che lega Pac a Samuel, nel romanzo è riscontrabile una quasi totale assenza di rapporti umani: nel momento in cui Pac ricorda il suo ultimo amore, Ester, la voce narrante interrompe il flusso dei suoi pensieri per informare il lettore del fatto che non ci saranno ulteriori approfondimenti in merito e il lettore, di Ester, conoscerà soltanto il nome. E’ come se il mondo, ormai in agonia, non potesse più permettersi il privilegio di provare sentimenti, di creare legami, di vivere appieno la propria umanità.
Crudo e spietato, “Bruciate lentamente” è un romanzo che si pone l’ambizioso obiettivo di spalancare gli occhi del lettore, svegliarlo e costringerlo a documentarsi e agire, a non lasciarsi trasportare dalla corrente. E Fabio Casto, difetti a parte, riesce a centrare perfettamente il suo obiettivo ed è proprio questo a rendere la sua opera prima un libro degno di essere letto.
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