
Autore: Alvydas Šlepikas
Pubblicato da La nave di Teseo - Giugno 2024
Pagine: 256 - Genere: Romanzo storico
Formato disponibile: Brossura, eBook
Collana: Oceani
ISBN: 9788834617878
ASIN: B0D33XWR3R

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I primi conquistatori erano migliori. Eva amava suonare. Aveva studiato musica senza però concludere il conservatorio poiché si era innamorata di Rudolph, un massaio alto, sempre sorridente, con le lentiggini. Lui l’aveva condotta nella Prussia orientale dove possedeva una fattoria. All’inizio era stata dura per lei, ragazza berlinese, ma l’amore vince tutto. Così, uno dopo l’altro, erano nati i bambini. Rudolph le aveva acquistato un ottimo pianoforte a parete. Lei ne avrebbe voluto uno a coda, ma sarebbe stato troppo costoso per una famiglia di campagna. Poi era cominciata la guerra e Rudolph era partito. Eva suonava Mozart e Rachmaninov, e poi delle canzonette che piacevano ai bambini e che intonavano insieme. Ah, quei tempi beati ma forse non erano neppure esistiti, forse erano solo il sogno di chi si addormenta affamato al freddo di una legnaia.

Il mio nome è Marytė è un romanzo delicato e commovente che ha il coraggio di mostrare la storia poco conosciuta vissuta dal popolo tedesco sul finire della Seconda Guerra Mondiale, quando la crudeltà dell’Armata Rossa si scatenò verso le famiglie più isolate e in difficoltà, come se la colpa della distruzione sociale avvenuta gli anni precedenti fosse loro e non di un governo aspro e dittatoriale. Se da una parte i campi di sterminio rappresentavano la fossa comune per milioni di ebrei, in territorio tedesco bambini di origini germaniche e ariane venivano brutalmente trucidati davanti agli occhi dei propri genitori.
…Heinz intanto racconta del viaggio e mentre lui parla Eva si rende conto che il figlio sta tralasciando gli aspetti peggiori del viaggio: il terrore, le crudeltà, le umiliazioni subite, le notti dell’inverno passate in mezzo ai boschi, in un paese straniero, affamato e infreddolito. Questo suo figlio non lo racconta, no, non vuole spaventarli né affliggerli, capisce bene che anche per loro qui non è stato facile, forse perfino peggio. La faccia di sua madre imbrattata di fuliggine, l’occhio nero di Lotte capisce tutto ormai.
Chi poteva cavarsela era chi aveva la forza fisica e anche l’ingegno di passare il confine e spostarsi in Lituania, dove con l’appoggio di qualche famiglia compiacente riusciva a trasformarsi in un residente, evitando i controlli e salvandosi alla morte. Il triste viaggio dei bambini verso la Lituania è proprio il fulcro centrale del romanzo di Šlepikas. I figli di Eva e Marta, donne ormai rimaste sole con nulla o quasi nulla, Heinz, Albert, Monika, Renate e Helmut partiranno in un modo piuttosto burrascoso verso una nuova condizione. Chi fra loro morirà, chi verrà ferito, umiliato e maltrattato e chi invece ce la farà, e fra tutti la bambina Renate, soprannominata nel corso della storia proprio con un nome lituano Marytė, sarà forse la sola a vedere la vecchiaia.
Il mio nome è Marytė è frutto di un insieme di racconti che Alvydas Šlepikas riuscirà a cucire attraverso la memoria di questi ragazzini, rimasti una figura eroica e rappresentativa della Guerra. Leggere queste vicende è faticoso, perché è incomprensibile pensare a una madre che recide del tutto i contatti con i propri figli per la sola e unica speranza di regalargli una sopravvivenza, ma soprattutto perché quegli anni devastanti non hanno oggigiorno insegnato nulla, il ripetersi di situazioni drammatiche è infinito.
Lo so che quei piccoli tedeschi vanno dichiarati… Un colpo con il calcio del fucile zittisce Elzé, che cade a terra senza rumore con il volto insanguinato. Antanas salta già dalla vettura, solleva Elzé e la aiuta a salire sul cassone. Elzé si riprende e ricomincia a piangere, ma stavolta sottovoce, disperata. Stasé, Antanas ed Elzé siedono rannicchiati in un angolo del cassone. Stasé abbraccia la sorella, le asciuga delicatamente il viso ferito. Il camion parte lascia il cortile. I tre deportati già non si distinguono più, la vettura svolta in una stradina laggiù in lontananza, l’unica cosa che ancora si vede è la luce dei fanali.
Un libro che fa della compassione una formula di speranza, affidando ai bambini “Lupo” il compito della memoria.
Approfondimento
La fame e il freddo cambiano le persone: le spezzano, le trasformano in vuoti meccanismi metallici che non aspettano più niente, non temono più niente e non si stupiscono più di niente. Il tempo ticchetta lento e monotono, i movimenti diventano meccanici, lo stesso i pensieri.
Il romanzo narra un’odissea che valorizza il coraggio e la responsabilità di piccoli bambini, che in nome di ideali di salvezza cercano sostegno l’un l’altro affidandosi alla natura, mangiando ciò che trovano e spostandosi come si riesce, affamati, stanchi e privati di ogni affetto, sfuggono alla morte nascondendosi e avvicinandosi alla Lituania. Molti di loro purtroppo verranno denunciati e rischieranno i campi in Siberia, altri riusciranno a evadere e scappare lontano. Gruppi di famiglie sfasciate per il solo fatto di essere famiglie tedesche, così come anni addietro lo erano state quelle ebraiche.
Alvydas Šlepikas recupera in questo libro quella storia nascosta che lascia comunicare dai racconti frammentati dei Wolfskinder in una magistrale rappresentazione piena di emozioni e sentimenti, crudele e viva allo stesso tempo.
Nausicaa Baldasso