
Autore: Karine Lambert
Pubblicato da Sperling & Kupfer - Giugno 2015
Pagine: 262 - Formato disponibile: Copertina Rigida
Collana: Pandora

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Parigi. Un palazzo. Cinque donne. Cinque storie di donne che si intrecciano. Ognuna di loro scappa da qualcosa, o forse corre verso qualcosa. Unico punto fermo, il palazzo nel cuore della città dove trovano rifugio e gli uomini non sono ammessi.

“Non abbiamo rinunciato all’amore.”
“È bellissimo l’amore, il vero amore.”
“Abbiamo rinunciato alla folle speranza di trovarlo.”
Regina è stata una ballerina, una prima ballerina famosissima e celebrata. Una diva. Dopo essere stata abbandonata dall’uomo che amava, è rimasta a vivere nel palazzo che lui le aveva donato, aprendo le sue porte a donne in cerca di casa e di un rifugio sicuro. Unica regola: niente uomini all’interno del palazzo. Qui vivono Simone, che ha alle spalle un compagno fedifrago da cui ha avuto un figlio che adora; Rosalie, che stenta a riprendersi dalla fuga del marito; Giuseppina, che scappa da anni da una famiglia di immigrati italiani patriarcale e maschilista, e infine Juliette, figlia di genitore anaffettivi, alla ricerca di qualcosa che colmi il vuoto di carezze mai ricevute, di abbracci mai dati e di parole d’affetto mai udite.
Con uno stile fresco e inizialmente scanzonato, seguiamo le loro vicende passate e quelle presenti. Seguiamo le vite quiete all’esterno ma sicuramente più ricche e tormentate nell’animo delle protagoniste. Il loro passato, le piccole storie di tragica quotidianità creano un legame con il lettore; se fossero state approfondite, La casa delle donne che volevano rinunciare all’amore ne avrebbe certamente guadagnato, perché restano l’unico vero punto di forza di questa storia. Invece quando torniamo nel presente, con i suoi dialoghi del tutto slegati dal contesto, in cui sembra che le protagoniste facciano a gara a buttare pillole di saggezza qui e là, compare qualche sbadiglio sul volto del lettore.
È pur vero che i personaggi di questo romanzo sono simpatici e accattivanti; sono tratteggiati con garbo, delicatezza, quasi con amore, in particolare quando ci vengono narrate le vicende del loro passato. Quello che invece proprio non funziona, è il loro rapportarsi al presente. Sembra che abbiano un copione da recitare, e che si attengano a quello.
Prendiamo Juliette: sicuramente la più motivata di tutte nella sua fuga dall’amore e dagli uomini, proveniente com’è da una famiglia che definire un deserto affettivo è un eufemismo. Eppure non fa altro che pensare agli uomini, parlare degli uomini, cercare un compagno, prepararsi alla ricerca di un compagno. Il che potrebbe anche essere plausibile, ma allora, qual è la ragione della sua presenza nella casa di Regina, con le sue regole di esclusione, che peraltro Juliette contesta circa cinque minuti dopo essersi sistemata?
Le protagoniste restano ancorate al passato con un’ostinazione che non trova spiegazioni nelle pieghe del loro carattere: sembra più un’imposizione dovuta a esigenze dell’autrice che a una coerenza interna del personaggio. Possiamo citare ad esempio Simone: vive l’avventura di una notte e rimane traumatizzata perché lui non è l’uomo della sua vita, e per questo da dieci anni ha chiuso le porte del suo cuore. Almeno all’apparenza.
Infatti, sembra che la rinuncia all’amore sia solo una facciata, mentre in realtà la sua ricerca resta l’unico scopo, il pensiero fisso, l’unica ancora di salvezza nelle vite delle protagoniste, vite che loro vedono irrimediabilmente vuote, mentre non lo sono affatto. La vita è una faccenda complessa, eppure ne La casa delle donne che volevano rinunciare all’amore l’unico vero problema pare essere quello di svegliarsi da sole al mattino, o rientrare la sera in una casa vuota. L’amicizia, le aspirazioni, la realizzazione personale sono aspetti incredibilmente secondari e di nessuna consolazione.
Approfondimento
L’intero romanzo è pervaso da questa sottile – e irritante – sensazione che la donna, senza un uomo, sia destinata a essere infelice e incompleta.
Ecco un esempio di un dialogo fra Juliette e Regina:
«Camminare, danzare, cadere, invecchiare: la vita è una sequenza di squilibri…»
«Talvolta bisogna imparare a stare in piedi da soli… è difficile. Come fa lei senza la danza? Senza gli uomini?»
Il finale non fa che confermare questa impressione: forse voleva essere un finale consolatorio o catartico, ma riesce solo a comunicare il messaggio che le donne della casa non aspettassero altro che l’occasione per buttare alle ortiche i propri propositi, in cui, evidentemente, non avevano mai creduto.
Annalisa “Lisse” Sanseverino