
Autore: Nicola Lagioia
Pubblicato da Einaudi - Ottobre 2020
Pagine: 472 - Genere: Narrativa Italiana
Formato disponibile: Copertina Rigida, eBook
Collana: Supercoralli
ISBN: 9788806233334

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Manuel, Marco e Luca sono i protagonisti di una delle più agghiaccianti vicende di cronaca nera degli ultimi anni, per tanti motivi e per nessuno in particolare. Il vuoto imperscrutabile, l’assurdità spiazzante, la totale mancanza di motivazioni, la disperazione profonda e insondabile sono i coprotagonisti di un delitto tanto efferato quanto insensato. Sullo sfondo una Roma senza sindaco e senza pudore, ma con ben due papi.

Nessun essere umano è all’altezza delle tragedie che lo colpiscono. Gli esseri umani sono imprecisi. Le tragedie sono pezzi unici e perfetti, sembrano intagliate ogni volta dalle mani di un dio.
Manuel Foffo e Marco Prato, al culmine del delirio, massacrano una vittima scelta dal destino, crudele quanto la fine che toccherà a Luca Varani.
La città dei vivi non è un romanzo, è la cronaca, almeno nelle intenzioni obiettiva, di un omicidio efferato.
Nicola Lagioia non può, essendo un essere umano, sottrarsi alla propria umanità, fatta di luci e ombre profonde e senza fine, come ammette egli stesso, e la sua obiettività distorta è in realtà un valore aggiunto, che carica di patos ogni riga, che deforma la narrazione con moti di sofferenza e incredulità che invitano a scandagliare la propria coscienza.
L’omicidio getta su vittima e carnefice la sua luce, ed è sempre una luce parziale, una luce perversa, l’omicidio è il male e il male è il narratore della storia
Il libro è magnificamente scritto, immolato, a costo di evidenti sacrifici psicologici dell’autore alla causa di una ricerca probabilmente destinata a perdersi ai confini del mondo, quella di una motivazione, quella di un punto preciso in cui le menti collassano e ogni assurdità, crudeltà, diventano possibili.
Nonostante il tema trattato, le pagine scorrono veloci. La narrazione, se così si può definire in questo caso, è sapientemente suddivisa in frammenti rappresentati da testimonianze, ricostruzioni e riflessioni di Lagioia, ma assolutamente non asettiche o dal sapore sgradevolmente sensazionalistico.
Sullo sfondo una Roma all’apice del proprio sfacelo, dove il sangue cola dal tetto di una biglietteria e topi e gabbiani riempiono le strade indisturbati.
L’autore inietta, come veleno nel veleno, nella storia principale, la vicenda appena accennata di un giro di turismo sessuale che sprofonda ancor più la caput mundi nell’abisso, nel lato oscuro della storia.
Eppure proprio l’autore, che sente il bisogno fisico di lasciare Roma, ne sente la mancanza, perché ciò che è in grado di regalare è comunque molto di più di ciò che toglie.
Una città che in quel momento non ha un sindaco, ma ben due papi.
Approfondimento
La città dei vivi è un libro che amo e odio, che ho divorato e al tempo stesso che non avrei voluto leggere. In alcuni passaggi mi ha addirittura infastidito il modo in cui Lagioia presenta la vicenda, attribuendo una sorta di malvagità aleggiare nei luoghi simbolo della vicenda; aprendo spiragli di empatia verso i protagonisti. Nel bellissimo, e poco conosciuto film Train de vie, dove un gruppo di ebrei tenta una fuga disperata, una donna dice al nipote, che le chiede se la terra santa è solo in un posto, che la terra potrebbe essere santa in ogni posto, basterebbe volerlo.
Forse Nicola Lagioia è quel bambino e si chiede dove risieda nell’essere umano il male. Leggendo La città dei vivi ho avuto la sensazione che l’autore abbia cercato un punto nel tempo e nello spazio in cui tutto collassa e diventa irreversibile, e per fare ciò ha dovuto inevitabilmente cambiare più volte punto di vista.
Tutti temiamo di vestire i panni della vittima. Viviamo nell’incubo di venire derubati, ingannati, aggrediti, calpestati. Preghiamo di non incontrare sulla nostra strada un assassino. Ma quale ostacolo emotivo dobbiamo superare per immaginare di poter essere noi, un giorno, a vestire i panni del carnefice?
Manuel e Marco conoscevano la vittima appena, la loro violenza si è divampata senza una motivazione plausibile, senza un movente di qualsiasi tipo, e questo è il nodo centrale del libro. I due ragazzi compiono il gesto folle dopo giorni allucinati e allucinanti, passati a pippare coca, bere e vaneggiare su progetti assurdi, e questo potrebbe spiegare quel senso di estraniamento che li ha portati all’omicidio, ma quello su cui insiste Lagioia è capire perché e come siano arrivati sino a quel punto.
Una volta capito questo ho capito l’autore, e i dubbi, i fraintendimenti, si sono dissipati.
In questo caso recensire il libro partendo dalla trama è assurdo e sbagliato. Questo libro è una lente di ingrandimento che aiuta a sondare, a ingrandire, ad analizzare, ma che deforma, curva le linee e modifica la luce, Nicola Lagioia lo sa benissimo, non lo nasconde e ha il coraggio di consegnarla ai lettori.
La città dei vivi è come Roma, prende tanto, fa soffrire, fa riflettere, ma quello che è in grado di dare è molto di più.
Cristiano Dall’Asta