Autore: Lucrezia Lerro
Pubblicato da Mondadori - 2013
Pagine: 203 - Genere: Narrativa Contemporanea
Formato disponibile: Brossura
Collana: Scrittori Italiani E Stranieri
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Profondo sud, le generazioni di ieri, le madri pronte a chinare la testa a confronto/scontro con la generazione di oggi, dove un po' di smalto sulle unghie è già sinonimo di giudizio: Puttana, ecco come viene definita la nuova generazione...
Le donne: sono loro le protagoniste indiscusse di questo romanzo. Abitano in un piccolo paesino del sud, sono madri e mogli oppure figlie che aspettano di diventare come le loro madri. Immerse in un deprimente scenario di povertà e squallore, vivono nutrendosi di pettegolezzi e piccole malignità, dispetti e invidie.
Nel grigiore del paese, tra i volti tutti uguali di donne tutte uguali, spicca la bellezza assoluta di Lara, la figlia del pescivendolo. Lara non è la voce narrante eppure è la vera protagonista, il primo motore immobile intorno al quale ruota il romanzo. Lara è fidanzata col ragazzo più ammirato del paese, Claudio, ma la loro relazione è costantemente sul filo del rasoio. Tra liti, schiaffi e rimproveri, entrambi dimenticano l’amore che li aveva legati all’inizio della loro storia, quando erano giovanissimi e le madri delle altre ragazze invidiavano Lara perché aveva soffiato a tutte le loro figlie il miglior partito del paese. Ciò che emerge dal racconto, infatti, è l’assoluta mancanza di aspirazioni: l’unico sogno di ogni donna è trovare un uomo che la porti via con sé, possibilmente altrove, al di là dei marciapiedi sporchi e delle telenovelas spagnole alle quattro di pomeriggio.
Nessuna di loro pensa anche solo lontanamente alla possibilità di fuggire da sola, sulle proprie gambe, con le proprie forze. Ognuna di loro aspetta un uomo e trascorre la sua vita stendendo strati e strati di rossetto sulle labbra, sbavando ai bordi, camminando instabili su tacchi troppo alti. E’ per questo che le abitanti di Serti – questo è il nome del paese – si sono organizzate in “gruppi”, delle vere e proprie cliques che hanno come unico scopo quello di presidiare la zona di riferimento e allontanare ogni altra ragazza che tenti di insinuarsi nel loro territorio per rubare la scena.
Lara, insieme alla sua migliore amica Mariella, appartiene alle ragazze della Piazza, in perpetua ostilità con le ragazze della fontana e con tutti gli altri gruppi i quali, con le loro denominazioni, indicano questa o quell’altra zona del paese. Ed è una guerra, quella che queste piccole grandi donne combattono. La guerra contro la povertà, lo squallore, l’ignoranza (una guerra persa in partenza, questa). La battaglia contro gli altri ma soprattutto contro le altre, quelle belle come Lara, perché è incredibilmente semplice accusare qualcun altro del fallimento dei propri sogni, della fine delle proprie storie d’amore, e non guardarsi mai dentro. Ammirarsi allo specchio e intuire l’insoddisfazione negli occhi, sotto le frange delle ciglia rigide di mascara, e non fare nulla per combatterla se non aspettare che succeda qualcosa, qualunque cosa.
Il titolo, la confraternita delle puttane, non è affatto casuale. Il termine “confraternita” rimanda al bigottismo che permea Serti, un paese nel quale gli uomini appartengono alle confraternite religiose e, a Pasqua, vanno in processione coi loro pesanti vestiti coi cappucci a spaventare i bambini, a far fuggire le bambine. Parlare di “confraternita” al femminile è un modo per sottolineare quanto il mondo delle donne sia lontano da quello degli uomini: per le donne non esistono confraternite riconosciute e apprezzate né processioni né il diritto di spaventare i bambini coprendosi il capo con un cappuccio. Per le donne esiste un’unica confraternita ed è quella delle puttane. Perché è così che vengono chiamate dagli uomini se hanno le labbra colorate dal rossetto o se indossano delle gonne troppo corte o se hanno i capelli troppo biondi, come Lara. Sono puttane solo perché sono belle, perché alzano la voce, perché amano e hanno amato. Sono puttane perché sono vive.
Ciò che colpisce, in questo romanzo, è l’alternarsi chiaroscurale di ribellione e rassegnazione, entrambe perfettamente rappresentate dal personaggio di Lara. Se da un lato Lara si rende conto che deve fuggire, che non può più vivere lì solo per vendere carne e pesce nello stesso negozio e strapparsi i capelli ogni volta che si sente triste, dall’altro lato sa perfettamente che non riuscirà a liberarsi dalla tela del ragno e che resterà a Serti fino alla fine. Il finale del libro, in tutta la sua incredibile durezza, ne darà prova tangibile.
Interessante è anche la tecnica letteraria che richiama molto da vicino quella del Grande Gatsby: la voce narrante è un personaggio secondario della storia e, nascosto tra le pagine, segue il protagonista e ne racconta la vita. Questo romanzo, inoltre, non presenta il classico schema narrativo inizio – svolgimento – fine, bensì un insieme di episodi che si collocano tutti allo stesso livello d’importanza nella dinamica della storia senza che il lettore colga alcun senso di frammentazione. Non c’è un vero e proprio “decollo” della vicenda: chi legge si trova dinanzi ad un quadro e di quel quadro coglie, a colpo d’occhio, tutte le luci e tutte le ombre. E’ come spiare dal buco della serratura e trovarsi dinanzi ad una scena già compiuta: quella dell’insoddisfazione, dei sogni abortiti, delle speranze interrotte.
Bianca Cataldi