Autore: Primo Levi
Pubblicato da Einaudi - Gennaio 2014
Pagine: 278 - Genere: Biografico
Formato disponibile: Brossura
Collana: Super ET
📗 Acquista scontato su ibs.it
📗 eBook su ibs.it
Sono riportati i racconti di Primo Levi dal 27 gennaio 1945, giorno in cui i russi invasero i campi di Auschwitz fino al rimpatrio dei prigionieri. L’esilio dell’autore era durato venti mesi. Il convoglio, su cui erano partiti in seicentocinquanta, attraversò la Russia, la Romania, l'Ungheria, l'Austria, fino a giungere a Torino. Un viaggio lungo, tortuoso, pieno di incontri memorabili. La meta era la libertà. Ma ne giunsero a casa solo tre.
La Tregua, capolavoro di Primo Levi, vincitore del primo premio Campiello nel 1963, ha una lunga stesura: alcuni capitoli sono stati scritti nel 1947-48 e altri nel 1961-62. Composto da 17 capitoli di media lunghezza e da una poesia scritta nel 1946, interpretata da molti critici come trade union tra il romanzo precedente di Levi Se questo è un uomo e appunto il suo proseguo, La Tregua: la linea di divisione e al contempo unione, la poesia è il sogno di una ritrovata normalità, “tornare, mangiare, raccontare”, che con fatica, dolore, immensa umanità non rimane desiderio ma diventa realtà per il piccolo farmacista, scrittore, poeta, torinese, ebreo.
Il suo è un diario di viaggio, il diario di un’umanità sofferente che va verso la sua rinascita, all’appropriarsi della dignità persa, come dice l’autore stesso: “avevo, del viaggio di ritorno, un puro appunto come dire, ferroviario. Un sorta di itinerario: il giorno al posto tale, al posto tal’altro. L’ho ritrovato e mi è servito come traccia, quasi quindici anni dopo, per scrivere ‘La tregua’’. Tregua perché dopo ogni guerra, prima di ogni pace, ci deve essere un armistizio e il lungo viaggio, in un convoglio molto simile a quello che lo aveva portato ad Auschwitz, ma anche profondamente diverso perché non lo porta verso la morte, ma verso la vita, perché non ha paura e per questo si rinchiude in se stesso, ma ha la speranza e aiuta gli altri, è un intervallo, un passaggio, appunto una tregua.
Il libro di Primo Levi comincia con l’arrivo delle truppe russe nel 1945 nel piccolo lager di Buna-Monowitz. Nel campo di concentramento sono rimasti in pochi e per lo più malati. Presto vengono trasferiti nel Campo Grande di Auschwitz e Levi poiché gravemente malato in ospedale. Uscito dall’infermeria incontra per la prima volta Mordo Nahum e insieme si recano a Cracovia, dove alloggiano in una caserma di soldati italiani e riescono con piccoli e innocenti espedienti a mangiare. Il rapporto che unisce i due è descritto così “da padrone-schiavo a mezzogiorno, a titolare-salariato alla una, a maestro-discepolo alle due, a fratello maggiore-fratello minore alle tre”. I prigionieri sono poi trasferiti a Katowice, dove Levi si offre di fare l’infermiere, grazie ai suoi studi e dove incontra: il Greco, Cesare, Leonardo, il Ferrari, Galina, stringendo con loro forti e profonde amicizie. L’8 maggio del 1945 la guerra finisce, i russi preparano una grande festa, i prigionieri sono felici ritorna la speranza di un graduale ritorno alla vita. Comincia, infatti, il rimpatrio il convoglio lento “corre” a fatica, con lunghe fermate e cambi di rotta, verso Odessa, verso l’imbarco per l’Italia, ma al sesto giorno la marcia si arresta per un cambio d’ordine, la rotta cambia si torna indietro verso nord, verso il campo di Staryje Doroghi. Altri due mesi di ozio, di espedienti per sopravvivere, in cui la nostalgia di casa mista alla fiducia di arrivarci presto li fa andare avanti e in cui s’intrecciano altre belle amicizie“altre prove, altre fatiche, altre fami, altri geli, altre paure”. Gli italiani rimangano a Staryje Doroghi dal 15 luglio al 15 settembre, tra visite nei boschi intorno al campo e il passaggio dell’armata rossa ormai in disarmo. Nel campo questa volta sono loro a organizzare una festa alla fine della quale il grande generale sovietico Semën Konstjantynovyč Tymošenko annuncia la prossima partenza. I soldati italiani finalmente ripartono. Primo Levi descrive quel momento con parole piene di speranza: “Avevamo resistito, dopo tutto: avevamo vinto. Dopo l’anno di lager,di pena e di pazienza; dopo l’ondata di morte seguita dalla liberazione; dopo il gelo e la fame e il disprezzo e la fiera compagnia del greco; dopo i trasferimenti insensati, per cui ci eravamo sentiti dannati a gravitare in eterno attraverso gli spazi russi, come inutili astri spenti; dopo l’ozio e la nostalgia acerba di Staryje Doroghi, eravamo in risalita, dunque, in viaggio all’in su, in cammino verso casa”. Dopo l’attraversamento della Romania, dell’Ungheria e dell’Austria, Levi e i suoi compagni arrivano alla frontiera, dove avviene il passaggio dalla protezione sovietica a quella americana. Levi arriva a Verona il 17 ottobre e a Torino il 19 ottobre, dopo 35 giorni di viaggio e tre anni di prigionia ritrova finalmente la propria casa e i familiari. Nonostante la liberazione, Levi è uno dei pochi che si salva, la maggior parte dei soldati italiani muoiono lungo il viaggio, debilitati nel corpo e nell’anima. Primo Levi chiude il suo romanzo – diario da dove l’aveva iniziato con il sogno ricorrente e terribile del lager e la descrizione del comando dell’alba: “Tutto è ora volto in caos: sono solo al centro di un nulla grigio e torbido, ed ecco, io so che cosa questo significa, ed anche so di averlo sempre saputo: sono di nuovo in Lager, e nulla era vero all’infuori del Lager. Il resto era breve vacanza, o inganno dei sensi, sogno: la famiglia, la natura in fiore, la casa. Ora questo sogno interno, il sogno di pace è finito, e nel sogno esterno, che prosegue gelido, odo risuonare una voce, ben nota; una sola parola, non imperiosa, anzi breve e sommessa. È il comando dell’alba in Auschwitz, una parola straniera, temuta e attesa: alzarsi, “Wstawać””.
Approfondimento
Con una resilienza morale e intellettuale in questo suo capolavoro letterario Primo Levi non si lascia coinvolgere dagli eventi vissuti e qui narrati ma ricorda con un giudizio morale di fondo l’inferno dei lager, gli orrori sofferti, il ritorno incredibilmente rocambolesco in Italia, in un’altalenante giungere alla meta e allontanarsi da essa, l’umanità variegata incontrata, gli amici morti di stenti, usando una narrazione lucida, personale, inconfondibile, che non lascia spazio alla pietas ma solo all’umanità e proprio per questo profondamente emozionante. Tutto così diventa memoria storica.
Questo libro è stato adattato come una sceneggiatura di Tonino Guerra per un film diretto da Francesco Rosi, intitolato anche La tregua (1997).
Milena Privitera