
Autore: Vito Mancuso
Pubblicato da Garzanti - Ottobre 2018
Pagine: 204 - Genere: Saggi
Formato disponibile: Brossura, eBook
Collana: Saggi

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Vito Mancuso affronta un dilemma che molti uomini, in ogni epoca, hanno cercato di sciogliere: che cos'è la bellezza? E quale mistero racchiude? Quali leggi la regola? E v'è qualcosa oltre il mero aspetto estetico delle cose?

Definire il bello è una di quelle tentazioni alla speculazione alla quale difficilmente si resiste.
Il bisogno di definire è, nell’uomo, come una panacea efficacissima all’ansia dell’indistinto.
Vito Mancuso lo fa con castigato ottimismo.
Ce n’era davvero bisogno?
Guardate, non obbedendo alle leggi dell’intrattenimento, sviando ogni trucco che favorisca l’aspettativa e il sospendimento, ve lo dico subito.
No.
Ma va bene così, perché il Mancuso lo fa con una sincerità e una disposizione d’animo talmente ingenua (da leggersi come assenza di malizia), che sembra piacevolmente d’essere seduti, un po’ sdraiati, a una tranquilla lezione universitaria d’un marzo inoltrato.
L’aria è calda, è pomeriggio, non tira un filo di vento, la voce del Mancuso è bassa, calma, irrorata d’una passione sobria e intellettuale – ti cala una palpebra, perdi un paragrafo, ma poi dici che tanto lo ricopi dal vicino di banco.
In cortile un gatto sbadiglia.
Ma poi, come una malia asfissiante, il discorso ti penetra, e ti tira nella corrente placida d’un fiume largo, largo, che però è alto una spanna, non perché sia superficiale, tutt’altro; ma perché è ben distribuito e non crea inciampo alcuno.
Ad esempio.
C’è il tentativo d’individuare un canone di bellezza archetipico o, per meglio dire, dogmatico, che non può variare; quel quid che, dalla scimmia primigenia con una pagliuzza di criterio, al più alto esempio di santità intellettuale odierno, vien riconosciuto come invariabilmente motore del bello. Mancuso allora ragiona come uno storico, poi fa l’archivista, poi il teologo (ch’è lavoro suo), cita fonti, vi ragiona sopra, vi gira intorno, vi guarda sotto; c’è Dostoevskij, c’è Tolstoj, c’è Sant’Agostino, c’è lo storico cinese naturalizzato francese, e c’è pur, come diceva Battiato, quel vecchio detto armeno, o persiano, o ittito-babilonese per il quale “solo gli stupidi non cambiano idea”.
E pur… Niente è sterile, tutto è fecondo, perché fatto in “plenitatudine cordis” come direbbero i romani. (Il canone non vi dico se lo trova o meno, a me non è piaciuto quel che trova, ma magari a voi si, chi lo sa, ma io tengo il segreto).
Molto belli i ragionamenti sulla bellezza della natura e sul sublime. (Scelgo il secondo e ve lo faccio dir da lui)
Ritengo che il sentimento complessivo che scaturisce di fronte alla vita, sia ciò che in ambito estetico viene definito, con una strana parola, sublime. Ritengo che al cospetto della complessiva, contraddittore fenomenologia dell’esistenza, l’estetica meno inadeguata sia quella che viene descritta al meglio del misterioso coacervo di sentimenti cui rimanda il sublime.
Scritto vivaddio molto bene, ben delineato e comprensibilissimo;
ci rimanda al tema fondamentale, alla domanda fondamentale, al motivo principe per il quale Vito Mancuso ha scritto questo libro.
Premessa, fin’ora ho scherzato un poco, mi perdonerete, ma per come son cresciuto io, argomenti troppo seri van stemperati un pochettino, perché alla fine val ben un poco di stupidèra (come si dice dalle mie parti) se poi oltre alle ali dentro ci si trova un poco di ghianda che non l’han già mangiata dei maiali.
Dicevo.
La domanda alla quale Vito Mancuso ci porta, in questa lezione primaverile, è molto più complessa da ciò da cui era partito. È il momento in cui ci si trova incantati, consapevoli d’esser allo snodo fondamentale del libro.
La vita è bella?
Possiamo dire che la vita sia bella?
Ebbene la sua risposta è una delle risposta meglio argomentate che io ho trovato. E infatti lui sta là sotto a spiegare e io quassù in gradinata a far lo scemo.
Perché ricondurre tutta questa ricerca al senso del sublime, inteso come un “doloroso piacere”, e ben dà al discorso uno spessore e una piacevolezza che sorprendono.
E infatti, come dicevo all’inizio, se a questo libro ci si approccia con diffidenza, si fa bene.
Perché:
Serve a qualcosa?
No.
Era necessario?
No.
Ma vi provoco:
pensate alla vostra migliore conversazione, a quel discorso che avete fatto quella volta con chissà chi, e che vi ha riempito l’animo di grandezza.
Serviva davvero a rivelare un profondo mistero? A snocciolarlo tutto per davvero?
Avete scoperto qualche cosa di nuovo?
Ragazzi, parlo pure delle conversazioni intorno all’Inter e alla SUA bellezza, non pensiate mi riferisca a chissà quali speculazioni escatologiche.
La forza di questo libro è proprio la medesima di quelle conversazioni: concretezza, sincerità, e totale inutilità.
Ma come diceva Keats: “Bellezza è verità e verità e bellezza: questo è tutto ciò che voi sapete sulla Terra, tutto ciò che avete bisogno di sapere.”
Approfondimento
“(…) dispensa alla rinfusa il sollievo e il crimine,
ed in questo puoi essere paragonata al vino. (…)”
Chi definì in tal modo la bellezza?
Copia, incolla, google, leggetela tutta e poi ditemi se la pensate come lui o come Mancuso.
Luca Viti