
Autore: Emanuela Canepa
Pubblicato da Einaudi - Aprile 2018
Pagine: 260 - Genere: Romanzo di formazione
Formato disponibile: Brossura, eBook
Collana: Stile libero big

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Rosita Mulè, una studentessa di Medicina fuoricorso, incontra il cinico e annoiato avvocato Lepore. Uomo che si rivelerà essere, solo in apparenza, uno Scrooge dickensiano.

Protagonista del romanzo è Rosita Mulè. Fuggita da un piccolo paese situato nei pressi di Caserta e dalla soffocante madre, una donna incapace di empatia nei confronti della figlia, si è rifugiata a Padova per studiare Medicina. Purtroppo, è costretta a mantenersi da sola, non avendo alcun appoggio esterno. Per farlo lavora in un piccolo supermercato. Un lavoro mal pagato con orari inconciliabili con lo studio. A causa di ciò, è in difficoltà con il pagamento dell’affitto.
La situazione sembra disperata, ma ecco che avviene un incontro fortuito: nel tardo pomeriggio della vigilia di Natale incontra l’avvocato Ludovico Lepore. Egli è un uomo solitario, cinico, annoiato dalla vita che, però, offre un impiego a Rosita. Un impiego ben pagato, altamente formativo che le permetterebbe di riprendere a studiare e a seguire regolarmente le lezioni all’università. La vita della protagonista finalmente prende la direzione desiderata, ma questo apparente Scrooge dickensiano mostrerà ben presto il suo vero volto obbligando Rosita a dover compiere una scelta.
Approfondimento
Direi che ossessione, solitudine e vuoto sono le parole chiave del libro. Rosita è ossessionata dal suo debito e dallo studio. La madre è ossessionata dal controllo sul caos che la circonda. Lepore è ossessionato da un dolore profondo e i suoi clienti sono ossessionati dalla vendetta, dall’amore, dal bisogno. Tutti hanno un’ossessione che li spinge a sopravvivere, non a vivere. Tutti sono in una gabbia di cui non trovano la chiave. Persino le due persone che apparentemente sembrano avere sempre le risposte, la madre di Rosita e Ludovico, in realtà, sono vittime di se stessi.
Rosita è ossessionata dallo studio perché è la sua unica via di fuga. È il solo vero atto di indipendenza, di disobbedienza nei confronti della madre, che può permettersi. Ha imparato a reprimersi, a rendersi invisibile. Lei è piena di sensi di colpa e sono questi a renderla schiava, a impedirle di raggiungere il suo sogno. È fuggita da un luogo, ma non si è liberata dalla vera causa del suo disagio.
Invece,Lepore è un uomo cinico fino all’estremo, che sa leggere dentro le persone e dentro Rosita. Tuttavia, nonostante cerchi di sopraelevarsi sul mondo, ha anche lui un segreto, un’ossessione, un dolore che lo ha logorato negli anni. Un legame che, lasciato irrisolto, lo ha ingabbiato nella sfiducia verso il genere umano e verso l’amore.
Poi, c’è la solitudine. Una condizione subita dai personaggi, i quali, a causa di problemi personali, non riescono a relazionarsi serenamente con gli altri, mentre il vuoto è affettivo, esistenziale.
Il romanzo risulta di facile e piacevole lettura, grazie soprattutto alla sintassi semplice e ai periodi brevi, però lascia perplessi. Ad esempio, in alcuni passaggi, forse, avrebbe necessitato di un po’ di ironia. Come nel paragone tra la madre e Socrate. Qui, sembra che a essere sminuita non sia la figura della madre, bensì quella del grande filosofo. Inoltre, è vero che conosciamo il perché dei sensi di colpa di Rosita, l’ansia di controllo della madre, il cinismo di Lepore, ma non conosciamo mai loro. Non sappiamo davvero chi sono. La scrittrice pare averne tratteggiato i contorni, tralasciandone l’interiorità. Questo rende difficile empatizzare con i personaggi.
La situazione si presenta simile nella delineazione dei legami simbolici: il legame tra la statua di madame du Barry e Rosita, tra la statua e i due amanti, il legame tra l’odore del tabacco, il padre e Ludovico, il legame tra il bisogno di essere amata di Rosita e la sua relazione: sono esistenti eppure non chiaramente percepibili. È necessario pensarci per capire qual è la connessione che li unisce e, anche quando la trovi, ti sembra comunque di non essere riuscita totalmente a risolvere l’equazione. Così, la delineazione della struttura del racconto risulta confusa, superficiale, giungendo quasi a banalizzarlo. Tale problema si manifesta nella sua evidenza soprattutto sul finale del libro. La scrittrice, infatti, durante la narrazione crea una aspettativa, una tensione finalizzata a un obiettivo in un continuo crescendo che viene deluso sul finale. Un effetto voluto? Non lo so. So solo che il fiato, trattenuto per tutto il tempo della lettura, non trova l’uscita proprio lì dove avrebbe dovuto esserci.
Anna Klavier