
Autore: Marina Mander
Pubblicato da Marsilio - Febbraio 2019
Pagine: 206 - Genere: Narrativa Italiana
Formato disponibile: Brossura, eBook
Collana: Romanzi e Racconti

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Leo ha tante parole. Florin neanche una, o almeno non le pronuncia.
Leo è un adolescente che frequenta il liceo classico, ma non sembra il tipico secchione: è sboccato e ogni tanto fuma qualche canna, ma a scuola va benissimo. Vive con sua mamma. Lei vuole cambiare il mondo un gesto nobile alla volta, come quello che compie nell’estate in cui porta a casa Florin che «di mestiere batte».

Noi siamo una famiglia di larghe vedute e questo è un fatto importante perché, a forza di guardare più in là, è sempre più difficile guardarsi negli occhi.
Questa citazione descrive perfettamente il romanzo di Marina Mander; Il protagonista della storia è un liceale, un ragazzo complesso con una vita complicata.
Quattro anni prima del tempo della narrazione, Leo perde suo padre per quello che definisce “la pretesa di medietà”, il momento in cui diventa difficile affrontare ciò che chiede una vita piena di regole e abitudini prestabilite e che trova nello sparire tra le onde del mare l’unica soluzione.
Quel preciso istante stravolge la vita di questa famiglia. La madre di Leo, Margherita, che si è sempre occupata del padre del ragazzo, cerca nel nuovo arrivato in famiglia, il taxista Tango-12, l’uomo che possa finalmente badare a lei e non viceversa. Leo inizia sempre di più a chiudersi in se stesso, a rimuginare, tanto che non parla con chi lo circonda, ma con un tribunale immaginario nella sua mente, perché convinto di essere colpevole della morte del padre.
A causa della chiusura del figlio verso il mondo, e anche un po’ perché non riesce a smettere di dedicarsi agli altri, Margherita decide di portare a casa loro Florin, un ragazzo che si prostituisce per vivere. Così, l’estate dei primi anni Duemila, Leo – che resta a casa per le vacanze – è costretto a passarla con questo sconosciuto a cui da il nome di Iwazaru, una delle tre scimmiette sagge: quella che non parla, dividendo la stanza.
Ma Florin non ha bisogno di parole, lui è la componente fisica del romanzo, quella che ci fa vivere la vita dal punto di vista di un ragazzo nato in un paese straniero, che non conosce la lingua e il cui unico modo che ha incontrato per sopravvivere è usare il suo corpo. Attraverso di lui, Leo scopre un mondo diverso, quello in cui a volte le parole sono inutili e contano solo i gesti, quando sei costretto a difenderti dalle botte solo incassando perché se è un funzionario dell’ordine a procurartele non c’è molto che tu possa fare. È il momento in cui, capendo l’altro, allontani i pregiudizi. Da piccola scimmia che crede di sapere tutto sul sesso, Florin diventa per Leo un amico da aiutare, da portare al mare, perché come dice Leo stesso: «[…] se non sei capace di modificare le cose da solo ci dovrà pur essere qualcuno da qualche parte a traghettarti in un’età migliore».
L’età straniera è un vero e proprio romanzo di formazione, è il calarsi completamente nelle sensazioni e nei sentimenti di un giovane adolescente che preferisce rimuginare e lottare dentro se stesso piuttosto che confrontarsi con il mondo. È la dettagliata e profonda discesa nel vivere del ventunesimo secolo – capace spesso di farti sentire inadeguato, mai abbastanza, che ti vuole perfetto e mai diverso – raccontato con gli occhi e le parole semplici e crude della giovane età straniera, perché ancora non vissuta, e quindi sconosciuta, che ha dovuto anche fare i conti con la morte.
Approfondimento
Questo romanzo è entrato nella lista dei 12 semifinalisti del Premio Strega 2019, probabilmente più per le sue caratteristiche lessicali che per la storia in sé.
Marina Mander, infatti, gioca molto con le proprietà del linguaggio di Leo – che dall’inizio ci dice essere nato con l’aoristo in bocca -, inserisce nei suoi discorsi molte citazioni e spesso utilizza frasi in rumeno per avvicinarci a Florin o, forse, per mettere in luce le capacità di Leo che gli permettono di apprendere velocemente anche una lingua che non è la sua.
In più, gioca molto con i salti temporali o con i monologhi interiori di Leo (che non sono pochi), i quali a mio parere rendono interessante, e a tratti divertente, la narrazione, ma non sono facili da separare dal filone principale se non dopo un po’ di allenamento.
Per i motivi sopra elencati credo che questo genere di lettura possa essere interessante per chi, come me, ama questo genere di scrittura: ricco di giochi di parole, similitudini e utilizzo di lingue straniere.
Diversamente credo che, se si predilige una lettura più romanzata, con descrizioni dettagliate approfondite, questo libro possa risultare a tratti troppo pomposo nel linguaggio, che difficilmente si addice a un ragazzo di 17 anni, – anche se spesso accompagnato da turpiloqui che attenuano la ricercatezza di lessico e avvicinano il protagonista alla sua età e al modo di esprimersi odierno -; e che la narrazione manchi un po’ di contenuto: la storia è in sé poco articolata e i personaggi poco approfonditi.
Mara Caruso