Autore: Veronica Pivetti
Pubblicato da Mondadori - Gennaio 2017
Pagine: 160 - Genere: Autobiografico
Formato disponibile: Brossura
Collana: Ingrandimenti
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Veronica Pivetti ha trascorso tutta la vita a sentirsi inadeguata, fino a quando, percorrendo a ritroso le tappe della sua adolescenza, si rende conto di aver vissuto una giovinezza comune e di essere stata baciata dalla fortuna.
Essere belli è più facile che essere simpatici; e anche molto meno interessante, e l’intelligenza zoppica, senza una buona dose di ghiotta empatia.
La mattina del 29 maggio 2014, un incendio divora l’appartamento di Veronica Pivetti. Salvati i due suoi fedeli amici a quattro a zampe, la donna si trova a dover fare la conta dei danni, scoprendo di aver perso molti degli oggetti accumulati in cinquant’anni di vita. Inizia così un viaggio tra i ricordi d’infanzia, tra senso di inadeguatezza e prime cotte. Sul viale dei ricordi si delinea il carattere della Pivetti, la piccola, quella con i piedoni enormi e i capelli arruffati, l’asociale indolente e recidiva, la mammona e fervente idolatra del padre. Personaggi strambi e un po’ sopra le righe fanno capolino tra le macerie incenerite e i ricordi, che, nitidi si stagliano nella mente di Veronica, perché caro fuoco, è vero, hai distrutto tutto. Ma non hai cancellato nulla.
Mai all’altezza è un libro che sfugge a qualsivoglia catalogazione. Come autobiografia funziona poco, lasciando il lettore sul liminare della soglia di casa e, fuor di metafora, dalla vita di Veronica. Gli aneddoti della sua adolescenza, ancorché cerchino di risultare piacevoli, sono privi di verve ed efficacia. L’ironia graffiante di cui sembra essere padrona la Pivetti fatica a prendere corpo, lasciando il lettore basito più che persuaso. Conclude il quadro una filosofia spicciola e fine a se stessa, incapace di colpire e affascinare il lettore.
Approfondimento
Veronica/personaggio televisivo è briosa, acuta e dalla pungente ironia. Veronica/scrittrice prova a essere ironica, brillante e coinvolgente, senza però raggiungere l’obiettivo. Ciò che si evince dalla lettura di Mai all’altezza è che non è sufficiente avere un repertorio potenzialmente esilarante cui attingere per tenere avvinta l’attenzione e la simpatia del lettore. Occorre ben altro per creare un legame di empatia.
D’altra parte, l’uso, o meglio l’abuso, del correlativo oggettivo appesantisce una narrazione non già brillante. Di per sé, l’idea di raccontarsi ricorrendo ai ricordi potrebbe rappresentare una chiave di lettura piacevole e inedita, ma la resa è appena soddisfacente e il senso intrinseco del romanzo evanescente. Il lettore è preda di un profondo sbigottimento, da cui è impossibile liberarsi, nonostante l’impegno profuso. E purtroppo per Veronica un “posto d’onore nel girone dei rifiutati” l’ha meritato anche questo romanzo. Complice probabilmente l’autocompiacimento di chi sa di aver costruito nella vita più di quanto lontanamente sperato.
Sarebbe stato decisamente più proficuo, nell’economia del romanzo, calcare la mano sul rapporto con l’ingombrante sorella Irene, in gamba, socievole e sempre un passo avanti. Forse proprio questo avrebbe potuto creare l’empatia senza quale “l’intelligenza zoppica”. Il legame appena abbozzato tra le due sorelle sembra vittima di una feroce repressione che considera impudico parlare sinceramente di sé in un’opera autobiografica.
Qui si gioca a nascondino con il lettore.
Le massime, trite e ritrite, che la Pivetti consegna al lettore rappresentano il vano tentativo di dare spessore a un libro che zoppica perché monco di una gamba; immagine, questa, che (ironia della sorte) richiama alla mente Francie, la Barbie della scrittrice:
L’incidente compromette la perfezione dell’essere perfetto per eccellenza, la mia Barbie. Mi dimostra che la perfezione non esiste e che è inutile (sbagliato?) perseguirla a tutti i costi.
Davvero, qualsiasi lettore ne avrebbe fatto volentieri a meno.
Lo stile è opaco, con qualche parolaccia di troppo, tipica delle commedie dei fratelli Vanzina. Non che un lettore si scandalizzi del turpiloquio, ma certamente viene da chiedersi fino a che punto era davvero necessario.
Mariangela Librizzi